Il Consiglio di Stato ha rimesso al diritto dell’Unione Europea i principi sanciti dall’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti) per i quali nel caso in cui l’illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore può essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all’esito di un giudizio.Con l’ordinanza n. 5033 del 23 agosto 2018, il Consiglio di Stato ha rimesso una questione che era già stata rimessa con ordinanza n.2639/2018, rilevando come la normativa nazionale faccia dipendere dalla scelta dell’operatore economico di proporre impugnazione alla risoluzione del contratto, la decisione dell’amministrazione di escludere l’operatore dalla gara.Come previsto dall’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni […]: […] c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio […]“.Nel caso oggetto del giudizio del Consiglio di Stato la risoluzione contrattuale a carico di una delle partecipanti ad una gara non risultava impugnata né al momento del gravato provvedimento di esclusione né alla camera di consiglio.L’attuale ricorrente aveva censurato in primo grado il provvedimento con cui era stata disposta la sua esclusione dalla procedura di gara in conseguenza della risoluzione di un precedente contratto d’appalto, sul rilievo che, a mente dell’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. n. 50/2016, la Stazione appaltante potesse escludere l’operatore economico unicamente nel caso in cui si fosse prestata acquiescenza al provvedimento di risoluzione o che lo stesso fosse stato confermato in sede giurisdizionale con una pronuncia definitiva.La sentenza, per contro, respingeva la censura, perché “…la predetta risoluzione contrattuale, nel caso in oggetto, non risultava impugnata né al momento del gravato provvedimento di esclusione né alla odierna camera di consiglio”.Tale assunto è ritenuto non condivisibile, posto che – sulla base di una interpretazione letterale dell’80, comma 5, D.Lgs. n. 50/2016 – sarebbe dato evincere che la causa di esclusione opera solo se al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza dall’operatore economico o che sia diventato inoppugnabile, oppure che la risoluzione contrattuale sia stata confermata in sede giurisdizionale con una pronuncia passata in giudicato.Il Consiglio di Stato ha specificato che “La legge avrebbe, invero, inteso perseguire finalità di semplificazione probatoria, in quanto la mancata produzione di tali effetti tipicizzati (cui si aggiungono la condanna al risarcimento del danno o l’applicazione di altre sanzioni) renderebbe ben più complesso fornire la prova incontestabile che il pregresso inadempimento è stato significativo, secondo una scelta che appare in linea con gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria“.L’acquiescenza potrebbe essere ravvisata solo in presenza di una volontà univoca del destinatario del provvedimento di accettarne gli effetti: volontà che dovrebbe risultare in presenza di atti o comportamenti univoci, posti in essere liberamente dal destinatario dell’atto, dimostranti la chiara ed incondizionata volontà di accettarne gli effetti e l’operatività. Ne discenderebbe che l’art. 80, comma 5, lett. c), renderebbe irrilevante – ai fini della esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara pubbliche – la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto o di concessione a cui non fosse stata prestata acquiescenza, che sia ancora “sub iudice” od ancora nei termini per essere impugnata.La sentenza del Consiglio di Stato 27 aprile 2017, n.1955, ha ritenuto l’esclusione dalla gara per “gravi illeciti professionali”, come previsto dall’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016, tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità del concorrente, tra i quali “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata”, può essere disposto solo se l’illecito è confermato “all’esito di un giudizio”. Anche la sentenza del Consiglio di Stato 2 marzo 2018,n. 1299, ha affrontato nuovamente la questione, precisando che l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lettera c) del comma 5 dell’art. 80 del Codice dei contratti è meramente esemplificativa e non comporta una preclusione automatica della valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante.Il Consiglio di Stato ha riconosciuto una disomogeneità tra la norma interna e la norma europea, rilevando che l’art. 57, par. 4 della Direttiva 2014/24/UE stabilisce che le amministrazioni appaltanti possono escludere gli operatori economici “se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità“. Il legislatore nazionale, invece, ha stabilito che l’errore professionale, passibile di risoluzione anticipata (per definizione “grave” ex art. 1455 Cod. civ. nonché ex art. 108, comma 3, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) non comporta l’esclusione dell’operatore in caso di contestazione in giudizio.La conseguenza è la necessaria subordinazione dell’azione amministrativa agli esiti del giudizio. Ciò è astrattamente possibile, essendo comprensibile che la scelta dell’amministrazione sia vincolata agli esiti di un giudizio, ma appare non compatibile con i tempi effettivi dell’azione amministrativa in relazione alle finalità di interesse generale del settore, vale a dire l’utile realizzazione delle opere o acquisizione dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni.La ragione appare chiara: risolto il contratto per grave inadempimento dell’operatore economico, l’amministrazione dovrà indire una nuova procedura di gara per addivenire ad un nuovo contratto; ma all’operatore economico inadempiente basterà contestare in giudizio la risoluzione per ottenere comunque ingresso nella nuova procedura, dovendo nelle more l’amministrazione attendere l’esito del giudizio per poter legittimamente procedere alla sua esclusione.Alla luce delle suddette considerazioni, i giudici di Palazzo Spada hanno formulato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale:“Se il diritto dell’Unione europea e, precisamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva e al principio di proporzionalità e di parità di trattamento ostano ad una normativa nazionale, come quella in esame, che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabilisce che, nel caso in cui l’illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore può essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all’esito di un giudizio”.
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