In via preliminare, importa ribadire che – superando sollecitazioni in diverso senso variamente formulate anche in sede pretoria – l’ Adunanza Plenaria di Consiglio di Stato, n.4 del 26 aprile 2018, ha chiarito, ribadendo e corroborando, sul punto, il tradizionale orientamento giurisprudenziale, che né il pregresso regime normativo (fondato sul principio dell’equiordinazione dei metodi di aggiudicazione, la cui scelta restava rimessa alla responsabile discrezionalità della stazione appaltante: cfr. art. 81, commi 1 e 2 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) né l’attuale quadro ordinamentale (che per contro, sulla scorta del considerando 89 della direttiva 24/2014, ha scolpito un obiettivo favor per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prefigurando un “sistema di gerarchia” tra i metodi di aggiudicazione, che si impone, come tale, alla stazione appaltante: cfr. art. 95 d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50) consentono di rinvenire elementi per pervenire all’affermazione che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata: e ciò in quanto, “versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l’impugnante certamente non sarebbe prescelto quale aggiudicatario”, onde, a diversamente opinare, si finirebbe per imporre all’offerente l’implausibile onere di denunciare la clausola del bando “sulla scorta della preconizzazione di una futura ed ipotetica lesione, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità”. (…)Il che vale quanto dire – nella prospettiva di cui all’art. 120, comma 5 c.p.a., che legittima (e, a un tempo, impone) l’immediata impugnazione degli atti di indizione solo in quanto “autonomamente lesivi” – che le clausole preordinate alla fissazione dei metodi di valutazione delle offerte non rientrano, per definizione, tra quelle connotate di immediata incidenza lesiva (e prefigurative, in quanto tali, di forme di “arresto procedimentale” aventi obiettiva attitudine preclusiva della partecipazione concorrenziale alla fase evidenziale). (…)Nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e, 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 2507/2016).È chiaro, in siffatta prospettiva, che accettare (senza fare acquiescenza) e contestare (riservandosi l’impugnazione) sono due facce della stessa medaglia: in ogni caso, il concorrente non può vedersi preclusa (nel primo caso) la successiva impugnazione e (nel secondo caso) la partecipazione alla gara.
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