Il prestigio acquisito nell’effettuazione di un incarico pubblico può giustificare un trattamento economico non pienamente allineato alle tariffe professionali ma che non può discostarsi dalla natura, importanza e pregio dell’attività svolta, né tanto meno negare il rimborso delle spese vive sostenute.Lo ha affermato la Sezione Quarta del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4780 del 2 agosto 2018 con la quale ha accolto il ricorso presentato da un architetto contro una precedente decisione di primo grado concernente la liquidazione compenso per incarico di componente di commissione di gara.Entrando nel dettaglio, il caso riguarda il ricorso presentato in primo grado da un architetto per l’annullamento degli atti adottati da una Pubblica Amministrazione per la determinazione del suo compenso quale componente della commissione giudicatrice della procedura di affidamento di uno studio di fattibilità per la costituzione di una società di trasformazione urbana per la riqualificazione delle aree di un lungomare comunale. L’architetto ha in particolare impugnato il provvedimento di determinazione del compenso e il presupposto regolamento avente ad oggetto «l’indennità di presenza per la partecipazione alla commissioni giudicatrici per appalti e concessioni di lavori, opere, servizi e forniture», in applicazione del quale la pubblica amministrazione aveva liquidato in € 268,58 le competenze dovute per la partecipazione alla commissione di gara.L’Architetto ha ribadito in appello “di avere diritto ad un «compenso» non simbolico e lesivo del decoro professionale, come l’«indennità» liquidatale“, sostenendo che tale compenso deve essere conforme alla tariffa professionale di architetto ed adeguato all’attività svolta in qualità di membro della commissione di gara per una procedura di selezione di un progetto del valore di oltre 400 mila euro, la quale ha richiesto sette riunioni ed un impegno complessivo di 40 ore.Appare utile ricordare che nel caso di specie erano in vigore il D.Lgs. n. 163/2006 e il DPR n. 554/1999 (non era ancora entrato in vigore il DPR n. 207/2010). In tal senso l’appellante architetto, a fondamento della propria tesi, aveva posto l’art. 92 del DPR n. 554/1999, secondo cui al momento della nomina della commissione di gara deve essere determinato «il compenso». Secondo l’architetto l’impiego di questo termine allude ad una “funzione corrispettiva della prestazione in denaro dovuta dall’Amministrazione“, pur nell’ambito di una facoltà di determinazione di carattere discrezionale.I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto fondati gli assunti della ricorrente volti a sostenere che l’impiego del termine «compenso» nell’art. 92, comma 3, d.P.R. n. 554 del 1999 presuppone un trattamento economico del membro della commissione giudicatrice che seppur rimesso in concreto alle determinazioni discrezionali dell’amministrazione, in conformità alla qualità di funzionario onorario assunto con la nomina in tale organo straordinario dell’amministrazione medesima, non può andare completamente disgiunto da elementi di corrispettività rispetto alle prestazioni svolte.Più precisamente, la nozione di compenso rende impraticabile la soluzione adottata dall’amministrazione, secondo cui l’opera prestata quale membro della commissione giudicatrice darebbe diritto ad un’indennità meramente compensativa dell’impegno richiesto per lo svolgimento dell’incarico onorario, svincolata dalla qualità e dall’importanza delle prestazioni svolte nell’ambito dello stesso. Tanto più ciò deve essere affermato nel caso di specie, in cui la liquidazione cui la P.A. è pervenuto è palesemente irrisoria e lesiva della dignità professionale dell’odierna appellante.Ad ulteriore sostegno, i giudici del Consiglio di Stato hanno sottolineato che una remunerazione inadeguata degli incarichi onorari è contraria al principio fondamentale di buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione, nella misura in cui scoraggia l’appetibilità di tali incarichi per le professionalità private maggiormente qualificate e meglio in grado di assolvere alle funzioni pubblicistiche ad essi sottese.Il Consiglio di Stato ha, altresì, evidenziato che l’impiego del termine «compenso» pur connotando in senso commutativo la disciplina del trattamento economico del componente della commissione di gara non caratterizza il rapporto con l’amministrazione per una corrispettività piena, nel senso valevole per le prestazioni d’opera professionale di cui agli artt. 2222 e ss. del codice civile (in cui è infatti impiegato il termine «corrispettivo»). Il prestigio acquisito dal professionista può infatti essere considerato elemento un che arricchisce la posizione personale e la sua considerazione nell’ambiente e nella società in generale, in ragione del quale è giustificato un trattamento economico non pienamente allineato con i rapporti inter-privati di prestazione d’opera ai sensi dell’art. 2222 cod. civ. poc’anzi richiamato.In definitiva, il Consiglio di Stato ha rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione la determinazione del trattamento economico, fermo restando che questa discrezionalità non può condurre a valori sensibilmente discosti dalle tariffe professionali corrispondenti alla natura, all’importanza e al pregio dell’attività svolta dal funzionario onorario; né tanto meno a negare il rimborso delle spese vive sostenute per l’espletamento dell’incarico.
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