E’ necessario, nell’ambito della verifica dell’anomalia dell’offerta ( art. 97 d.lgs. n. 50/2016), procedere alla valutazione della congruità del costo del lavoro anche quando si tratti non di rapporti di lavoro subordinato ma di rapporti di lavoro autonomo.
Ha chiarito il Giudice Amministrativo che anche in un giudizio sull’anomalia dell’offerta non possano essere sindacate le modalità di organizzazione interna di un operatore economico, né è possibile ritenere che debbano essere imposti determinati tipi contrattuali in luogo di altri per ottenere la collaborazione dei prestatori d’opera.Ma, nel giudizio di verifica della possibile anomalia di un’offerta, se occorre valutare la congruità del costo del lavoro (e quindi la congruità e serietà dell’offerta), si deve ritenere comunque necessario, nei casi in cui non sia possibile fare un immediato riferimento agli importi dei contratti collettivi nazionali – per la molteplicità delle modalità di lavoro anche non dipendente con le quali oggi è possibile assicurare una prestazione lavorativa – che la Stazione appaltante valuti la corretta determinazione del costo del lavoro anche con strumenti diversi. E ciò anche per il doveroso rispetto delle disposizioni dettate per la tutela di rilevanti interessi pubblici in materia di lavoro, sicurezza e previdenza ai quali si è fatto prima cenno. Senza contare che la mancanza di un qualsiasi parametro nella valutazione della congruità del costo del lavoro “non dipendente” determinerebbe effetti palesemente distorsivi del mercato, quali quelli che sono stati evidenziati nella gara in esame.Non può essere pertanto condiviso il principio secondo cui ogni valutazione sulla congruità del costo del lavoro della prestazione offerta nella fattispecie non poteva essere compiuta perché tra l’impresa e il prestatore d’opera di lavoro non dipendente esiste solo la libera contrattazione del compenso.Se si affermasse la correttezza di tale principio, alle stazioni appaltanti sarebbe preclusa ogni forma di controllo sulla serietà e sostenibilità del costo del lavoro delle offerte presentate e della stessa serietà dell’offerta, soprattutto quando il costo del lavoro ne è, come nella fattispecie, un elemento preponderante.
Né può valere l’obiezione secondo cui le eventuali patologie sono questioni proprie della fase esecutiva del contratto. La procedura di gara serve, tra le tante altre cose, anche a prevenire situazioni patologiche quali quelle che possono determinarsi con la presentazione di un’offerta anomala.Si deve quindi ribadire che non può essere condivisa la tesi secondo cui l’operatore economico che decide (legittimamente) di organizzarsi con collaboratori che non sono lavoratori subordinati è esentato da qualsiasi giustificazione in ordine al costo di tali collaboratori nell’offerta che ha presentato.Alcuni parametri normativi esistono comunque, perlomeno da utilizzare come punto di riferimento per valutare la serietà e attendibilità di un’offerta e del costo del lavoro nella stessa dichiarato. Il diritto del lavoro (subordinato e autonomo) così come la disciplina del codice del consumo dettano disposizioni di mitigazione della forza contrattuale del committente. Per esempio, l’art. 3 della recente l. 22 maggio 2017, n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” colpisce le clausole e le condotte abusive nonché l’abuso di “dipendenza economica” (art. 9, l. n. 192 del 1992). I copiosi riferimenti all’“abuso” presenti nell’articolato della citata l. n. 81 del 2017, per esempio, evocano il complesso tema delle relazioni sbilanciate tra soggetti economici (i cosiddetti “contratti asimmetrici”), nel cui ambito la dottrina ha elaborato la nozione di “terzo contratto”.Tale figura identifica quei contesti negoziali in cui, come accade sovente nel caso del lavoro autonomo, si rileva una debolezza non inerente a un determinato status, come per il consumatore, protagonista di un ideale “secondo contratto”, ma relativa a una condizione di fatto di disparità economica che si riflette sul piano dell’equilibrio contrattuale.
L’ottica comune alle discipline in questione è spiccatamente rimediale. Ciò significa che quelle regole, sul piano individuale, mirano al ripristino in via giudiziale dell’equilibrio che il rapporto economico sbilanciato ha messo in discussione. Si parla non a caso di “giustizia contrattuale”.Occorre chiedersi se quelle regole che permeano ormai il sistema giuridico, possano operare altresì in funzione del perseguimento di più ampi obiettivi, come il miglioramento qualitativo della concorrenza. E la risposta deve ritenersi affermativa tanto che, esplorando il contesto dei rapporti asimmetrici tra imprese, si accosta alla lesione della libertà negoziale della parte debole la violazione dell’ordine pubblico del mercato.Ha aggiunto il Giudice Amministrativo di essere consapevole del fatto che la l. n. 81 del 2017 non ha dettato anche disposizioni specifiche sul compenso dei lavoratori autonomi. Il principio cardine è la libera pattuizione del compenso e solamente in assenza di un accordo o di riferimenti a usi e tariffe si ammette l’intervento sussidiario del giudice ai sensi dell’art. 2225 c.c. che stabilisce il corrispettivo in base al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo, con la correzione del criterio di adeguatezza all’importanza dell’opera e al decoro della professione ex art. 2233 c.c.Però da una lettura sistematica delle disposizioni della Direttiva 24/2014, delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici, e dei principi che presidiano l’intera materia degli appalti si può giungere alla conclusione che la stazione appaltante non può completamente omettere di valutare, in sede di giudizio di anomalia dell’offerta, le modalità con le quali l’operatore economico che aspira ad ottenere una commessa pubblica, intende utilizzare e compensare i propri collaboratori ( TAR Cagliari, 05.02.2019, n. 94)
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