Alla vigilia delle elezioni europee, che sembrano aver dato una tregua provvisoria all’esecutivo sulla TAV, l’argomento Codice dei contratti è tornato prepotentemente alla ribalta con la possibilità del doppio binario di un decreto legge, con le modifiche indifferibili, e un disegno di legge delega che avrà invece il compito di modificare integralmente un impianto normativo che tirate le somme non è piaciuto alle stesse stazioni appaltanti che ne avrebbero avuto maggiori benefici con la maggiore (ma poco gradita) flessibilità.Al fine di comprendere meglio i segnali che provengono nell’immediato, ho avuto il piacere di intervistare uno dei maggiori protagonisti della riforma del 2016, il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) Raffaele Cantone, al quale ho rivolto alcune domande su quale futuro attende al Codice dei contratti e su alcune disposizioni più discusse (appalto integrato e criteri di aggiudicazione).Di seguito domande e risposte.
1. Sembra che il Governo, per le modifiche all’attuale testo del Codice dei contratti pubblici, abbia deciso di utilizzare una doppia strada associando ad un decreto-legge con modifiche puntuali un disegno di legge delega che modifichi o, addirittura, riscriva il Codice dei contratti. Ritiene che tale impostazione sia corretta?
Trovo accettabile, in astratto, l’idea di intervenire subito sugli aspetti ritenuti più urgenti e al tempo stesso prevedere una riforma di più ampio respiro e dai tempi più lunghi. Mi auguro ovviamente che ci sia una coerenza fra i due provvedimenti, perché prevedere un doppio binario ha senso solo se le misure di semplificazione che saranno introdotte nell’immediato verranno poi confermate nella riforma definitiva. In caso contrario si assisterebbe a una contraddizione di fondo, che peraltro renderebbe caotica la fase transitoria. Quello che mi sembra, invece, nell’immediato molto discutibile è che queste misure di semplificazione vengano annunciate come imminenti da mesi e non vengono poi adottate; questa attesa non favorisce quel clima di certezza necessario alle pubbliche amministrazioni per operare.
2. Il disegno di legge delega ha una portata così vasta da consentire sia la modifica del D.Lgs. n. 50/2016 che la sua totale riscrittura. Ritiene che tale soluzione possa essere in contrasto con l’art. 76 della Costituzione?
La Costituzione, nel consentire la delega della funzione legislativa al governo, la lega al rispetto della “determinazione di principi” e dei “criteri direttivi”. Non è quindi una questione di forma (cioè il fatto che la delega consenta sia la semplice modifica che la completa riscrittura del Codice) ma di sostanza ed è una decisione politica scegliere in che misura intervenire. Non credo che le indicazioni contenute nel ddl delega, per ampie che siano, rappresentino una violazione in tal senso e non mi sembra questo un problema.
3. Differentemente da quanto previsto nell’articolo 1, comma 2 della Legge delega 28 gennaio n. 11 propedeutica al vigente Codice dei contratti, la nuova delega non prevede alcuna consultazione delle principali categorie di soggetti pubblici e privati destinatari della nuova normativa. È giusto che gli stakeholders non vengano consultati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri?
È una legittima scelta del legislatore non prevedere la consultazione degli stakeholders, anche se a mio avviso sarebbe sempre opportuno ascoltarli, in particolare in una materia complessa e delicata come la contrattualistica pubblica. In ogni caso nulla esclude che gli addetti ai lavori possano essere sentiti nel corso dell’iter parlamentare del ddl. La commissione Lavori pubblici del Senato, ad esempio, ha avviato una indagine conoscitiva sull’applicazione del Codice degli appalti e in quella sede ha già audito numerose rappresentanze, alcune delle quali hanno anche depositato apposite proposte di modifica. Io stesso sono già stato sentito qualche mese fa dalla commissione parlamentare.
4. Ritiene corretta l’attuale impostazione del disegno di legge delega che non fa alcun riferimento alla necessità di modifiche per adeguare il vigente Codice dei contratti alle richieste contenute nella lettera di costituzione in mora inviata il 24 gennaio 2019 all’Italia dalla Commissione europea?
Anche in questo caso, non ne farei una questione di forma ma di sostanza. A prescindere da quel che prevede il ddl delega, è chiaro che sarà necessario intervenire anche sugli aspetti che sono stati oggetto di obiezioni da parte delle Ue. Naturalmente, sempre che le criticità rilevate dalla Commissione non saranno affrontate già nel decreto.
5. L’impostazione data alla riforma delle regole sugli appalti pubblici del 2016 ha previsto un Codice e oltre 60 provvedimenti attuativi (vincolanti e non vincolanti). Ritiene che la strada sia stata corretta o andrebbe riformulata sulla base delle regole del 2006 con un Codice e un solo Regolamento di attuazione?
Il Codice del 2016 ha puntato su una regolazione flessibile, prevedendo un corpus di linee guida attuative, sulla base di una coraggiosa idea di fondo: meglio “accompagnare” le stazioni appaltanti nelle loro scelte, lasciando margini di discrezionalità in base alle situazioni specifiche, che vincolarle rigidamente attraverso previsioni tassative uguali per chiunque. Il vantaggio di questo sistema si è reso evidente in occasione del correttivo del 2017 quando, proprio grazie alla soft regulation, è stato possibile modificare in tempi rapidissimi le linee guida relative alle materie emendate. Al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, tuttavia, si è visto che la discrezionalità non è particolarmente amata dalla Pubblica amministrazione. Piuttosto che scegliere, gli uffici spesso preferiscono avere un’unica possibilità alla quale doversi attenere, al punto che prevale la tendenza a prediligere le procedure ordinarie anche quando vi sono le condizioni per ricorrere a un iter semplificato. Se questa è la situazione, è una legittima scelta della politica tornare a un Regolamento attuativo unico. Starei attento, però, a ritenerlo una panacea in grado di risolvere tutti i problemi, soprattutto in termini di semplificazione: il Regolamento precedente fu varato nel 2010, ben quattro anni dopo l’entrata in vigore del Codice, e conteneva 359 articoli. In pratica era un altro Codice, addirittura più corposo peraltro, dal momento che di articoli quel testo legislativo ne aveva 257!
6. Il contributo di ANAC per l’attuazione del D.Lgs. n. 50/2016 è stato molto importante oltre che efficace. Nella stesura dei due nuovi provvedimenti di modifica al Codice, l’ANAC è stata coinvolta?
Uno dei componenti del Consiglio ha partecipato a un tavolo di consultazione preliminare per la riforma del Codice. Da allora l’Autorità, come gli altri stakeholder, non ha svolto alcun altro ruolo effettivo, ma anche questa è una legittima determinazione politica. Comunque nulla esclude che l’Anac possa essere coinvolta in una fase successiva, tanto più che il disegno di legge delega prevede formalmente il rilascio di un parere sui decreti attuativi.
7. Entriamo nel dettaglio di una delle disposizioni più discusse del Codice: l’appalto integrato. ANCE e Anci hanno affermato che l’obbligo di andare in gara con la sola progettazione esecutiva ha rappresentato “un ostacolo al percorso di crescita degli investimenti”. Dall’altra parte le categorie professionali rappresentate dalla Rete delle Professioni Tecniche è ferma su questo aspetto perché solo così si garantirebbe la centralità del progetto. Che idea si è fatto sull’argomento?
Innanzitutto bisogna capire quali saranno le scelte concrete in materia di appalto integrato. Personalmente credo che sia stata giusta la decisione di eliminare questo istituto, che aveva dato cattiva prova di sé. Non dimentichiamo che l’attribuzione della progettazione esecutiva all’aggiudicatario aveva portato ad appalti in cui era il privato a decidere tutto, anche sul piano pratico, a fronte di scelte dell’amministrazione che talvolta erano appena abbozzate. L’obbligo di mettere a gara il progetto esecutivo andava proprio in questa direzione: puntare sulla centralità della progettazione, una opzione che sottintendeva anche una idea ben precisa di consapevolezza ed efficienza della Pubblica amministrazione in termini di programmazione. Anche in questo caso, però, bisogna riconoscere che la gran parte delle stazioni appaltanti, spesso depauperate di capacità tecniche, non sono preparate a questa “sfida”. Sotto questo profilo potrebbe quindi avere senso consentire il ricorso all’appalto integrato in presenza di specifiche condizioni. Negli interventi più semplici, che non richiedono particolari livelli di progettazione, come la manutenzione stradale, può avere ad esempio una sua ragion d’essere. Prima di esprimere un giudizio definitivo, mi riservo però di vedere come sarà declinata in concreto la norma.
8. Tornando all’obbligo di andare in gara con la sola progettazione esecutiva, ritiene corretto l’utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche nel caso di importi al di sotto della soglia comunitaria?
Anche in questo caso, sarebbe bene non dimenticare il passato. I rigidi limiti posti al massimo ribasso previsti dal Codice attuale sono stati dettati da una serie di patologie che si erano verificate in precedenza. Ne cito una su tutte, a mio avviso emblematica: pensiamo alle varianti, con cui l’aggiudicatario era solito recuperare surrettiziamente in corso d’opera tutto lo sconto offerto in sede di gara! Col minor prezzo, insomma, il risparmio in molti casi era solo apparente. Aver deciso di puntare sull’offerta economicamente più vantaggiosa, secondo me, resta dunque una scelta corretta, anche perché consente di premiare la qualità e, di conseguenza, chi ha il coraggio di investire in sviluppo ed innovazione. Nulla toglie, naturalmente, che si possono individuare circostanze in cui prevedere meccanismi di aggiudicazione basati solo sul prezzo laddove non vi sono margini per particolari miglioramenti del progetto messo a gara.
9. Concludendo, sembrerebbe che le intenzioni dell’attuale Governo siano quelle di rivedere i poteri che sono stati affidati all’ANAC nel 2016 con il rischio, quindi, di vanificare il lavoro fatto sin’ora. Ci dica qual è il suo punto di vista.
In realtà, a leggere il testo del ddl delega, non mi pare sia previsto alcun ridimensionamento effettivo dei poteri dell’Autorità. Resta il potere di regolazione non vincolante, che è particolarmente significativo per le stazioni appaltanti perché aiuta gli operatori su temi particolarmente sensibili e viene inoltre esplicitamente previsto il rafforzamento del precontenzioso, dell’istituto della vigilanza collaborativa e l’attività consultiva dell’Autorità. In ogni caso, la scelta di attribuire poteri di regolazione all’Anac è funzionale alla filosofia su cui si fonda questo Codice. Nel momento in cui il testo di riferimento cambia, trovo logico concepire anche un ruolo differente per l’autorità di vigilanza. Quindi ad oggi non sembra porsi una questione concreta di ridimensionamento dell’Anac. Quanto detto non significa affatto che io non sia un minimo preoccupato. In primo luogo bisogna vedere quale delega uscirà effettivamente dall’esame parlamentare. In quest’ultimo periodo da alcuni parlamentari, anche con cariche di sottogoverno, sono venute indicazioni alquanto esplicite sulla volontà di ridimensionare o persino di abolire l’Anac; di queste idee non vi è traccia alcuna in norme né in disegni di legge e spero restino semplici affermazioni estemporanee e fuori dal coro. Mi tranquillizzerò, però, solo quando si potrà leggere il testo della legge delega approvata.
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