Fin dall’atto della sua prima introduzione (art. 19 L. 109/94), del suo successivo ampliamento (L. 166/2002) e ancor più all’epoca della sua compiuta disciplina (Codice appalti 163/06 e relativo Regolamento 207/10) l’appalto di progettazione ed esecuzione è stato fatto oggetto di valutazioni contrastanti e spesso di critiche.
Tutti ricordiamo come l’Anac, non del tutto a torto, sia sempre stata tendenzialmente scettica, se non dichiaratamente contraria all’istituto, sostenendo che l’appalto integrato incrementerebbe il costo di partecipazione alle gare, non diminuirebbe il contenzioso né il ricorso alle varianti in corso d’opera e avrebbe persino una negativa incidenza sulla qualità dei lavori.
Peraltro, anche dopo l’emanazione del Codice n. 50 del 2016 (fortemente ispirato dall’atteggiamento critico dell’Autorità), in qualche modo il “progettare ed eseguire” inteso in senso lato ha continuato a trovare dimora nel nostro ordinamento. Basti pensare alle figure espressamente citate dall’art. 59 comma primo del codice, e quindi al contraente generale, alla finanza di progetto, all’affidamento in concessione, al partenariato pubblico privato, al contratto di disponibilità, alla locazione finanziaria, nonché alle opere di urbanizzazione a scomputo di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e) che in qualche modo sono compatibili con l’ipotesi di concentrazione della progettazione e dell’esecuzione dell’opera pubblica o para-pubblica in un unico soggetto.
Inoltre anche il correttivo del 2017 si era già mosso nel senso contrario al voluto “azzeramento” dell’appalto integrato, introducendo un comma 1-bis secondo il quale “Le stazioni appaltanti possono ricorrere all’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione di lavori sulla base del progetto definitivo dell’amministrazione aggiudicatrice nei casi in cui l’elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell’appalto sia nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori”: come poi in concreto tale netta prevalenza dovesse essere individuata rappresentava e rappresenta un mistero in quanto la norma è sopravvissuta tale e quale alla riscrittura dell’art. 59 operata dallo sblocca cantieri. Lo stesso correttivo con la disposizione temporanea introdotta con il comma 4 bis dell’art. 216 aveva previsto che il divieto di affidamento generale della progettazione esecutiva unitamente alla realizzazione dei lavori “non si applica per le opere i cui progetti definitivi risultino approvati dall’organo competente alla data di entrata in vigore del presente codice con pubblicazione del bando entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione”.
Intervenendo nuovamente su tale comma, il decreto cosiddetto “Sblocca cantieri” n. 32/2019, per come sopravvissuto fino alla conversione in legge, aveva stabilito che fino al 31.12.2021 sarebbe stato possibile bandire appalti integrati, aprendo così una finestra temporale di due anni e mezzo circa per mettere in gara progetti definitivi anche non “tecnologicamente complessi” o relativi a lavori non “particolarmente innovativi”.
Condizioni per procedere in tal senso erano che il progetto definitivo fosse approvato entro il 31.12.2020 e che la pubblicazione del bando avvenisse entro 12 mesi dall’approvazione del progetto medesimo: in effetti forse si poteva concedere una finestra temporale ancora più ampia per la predisposizione di nuovi progetti definitivi e forse comprimere il tempo per la pubblicazione del bando (1 anno sembra anche troppo), ma comunque il decreto rinnovava ed ampliava la deroga introdotta dal correttivo del 2017.
Come tutti ricordano, la finestra aperta a suo tempo dal decreto correttivo con analogo criterio fu sfruttata assai poco. Il decreto sblocca cantieri invero avrebbe potuto funzionare meglio in quanto concedeva molto più tempo per avviare i progetti o promuovere l’upgrade dei progetti preliminari. Inoltre la possibilità di mandare in gara un definitivo veniva estesa per la prima volta anche a progetti del tutto nuovi e ancora non approvati nemmeno a livello di .progettazione preliminare.
La liberalizzazione era inoltre sostenuta da provvedimenti a latere quali la reintroduzione degli incentivi per la progettazione svolta in house dai committenti pubblici, provvedimenti che avrebbero potuto costituire un volano positivo per portare il massimo numero possibile di progetti al livello di definitivo (anche se non si nasconde che la norma avrebbe potuto sortire anche l’effetto opposto, stante il livello di efficienza non uniforme degli uffici di progettazione interni).
Fatto sta che in sede di conversione, si è scelta tutta un’altra strada.
Il Maxi emendamento comparso all’improvviso a sparigliare le carte nelle ultime settimane di discussione del testo della legge di conversione del decreto Sblocca cantieri è intervenuto con una modalità del tutto differente che ha mirato a sospendere l’efficacia dell’art. 59 del Codice, congelando il divieto anziché introducendo una deroga temporanea.
Fin qui nessun problema, se non fosse per il fatto che – nel farlo – ha commesso un errore di tecnica legislativa che rende praticamente nullo l’effetto della modifica al Codice, vanificando l’intento di riaprire temporaneamente la possibilità di ricorrere all’appalto integrato.
Infatti è stato sospeso solo il penultimo periodo dell’art. 59 primo comma (“E’ vietato il ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione di lavori”), mentre rimane pienamente applicabile il periodo precedente che sancisce che “Fatto salvo quanto previsto al comma 1-bis (casi particolari in cui l’elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell’appalto sia nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori), gli appalti relativi ai lavori sono affidati, ponendo a base di gara il progetto esecutivo, il cui contenuto, come definito dall’articolo 23, comma 8, garantisce la rispondenza dell’opera ai requisiti di qualità predeterminati e il rispetto dei tempi e dei costi previsti.”
Oltretutto sospendere il divieto di affidamento di appalti integrati solo fino al 31.12.2020 apre una finestra ben più ristretta di quella aperta dal testo del decreto Sblocca Cantieri che – come abbiamo detto – fino al 31.12.2020 richiedeva semplicemente che di provvedesse all’approvazione della progettazione definitiva e consentiva di affidare l’appalto entro un ulteriore anno da tale data.
A ciò si aggiunga che l’appalto integrato, quand’anche fosse stato effettivamente reintrodotto, sarebbe risultato privo di una qualsiasi disposizione di attuazione: l’art. 169 del Regolamento 207 è stato infatti abrogato per cui, venendo meno la norma di attuazione, non è (o meglio non sarebbe stato) comunque chiaro:
A confermare la sensazione di un intervento frettoloso ed incompleto si segnala anche che il decreto Sblocca Cantieri non interviene nemmeno per ritoccare la norma introdotta dal correttivo del 2017 (art 59 comma 1-ter), per cui il ricorso all’appalto integrato, continua a dover essere motivato nella determina a contrarre nella quale in modo puntuale devono essere chiarite “la rilevanza dei presupposti tecnici ed oggettivi che consentono il ricorso all’affidamento congiunto e l’effettiva incidenza sui tempi della realizzazione delle opere in caso di affidamento separato di lavori e progettazione”.
E dire che il decreto Sblocca Cantieri aveva contemporaneamente introdotto alcune novità che avrebbero potuto veramente “aiutare” il rientro dell’appalto integrato e l’efficacia dell’istituto.
Si pensi alla reintroduzione della possibilità di avvalersi in sede di gara di progettisti qualificati associandoli in raggruppamento o indicandoli (già prevista nel vecchio art. 53 commi 3 e 4 del D.Lgs. n. 163/2006) operata con una modifica dell’art.59 comma 1 bis, confermata in sede di conversione, e all’ulteriore previsione che consente la corresponsione diretta al progettista della quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione indicati espressamente in sede di offerta (comma 1 quater, pure confermato in sede di conversione, norma la cui linea di intervento fa il paio con l’estensione dell’anticipazione del 20% a tutti i tipi di appalto).
Si pensi anche ad un’altra norma acceleratoria e di sblocco (riprendendo il tema a suo tempo trattato dall’abrogato art. 105 del DPR 207/10, ma prevedendo da un lato la necessità dell’affidatario di redigere comunque un progetto esecutivo e dall’altro estendendo l’applicabilità della norma per la prima volta anche alla manutenzione straordinaria): I lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria affidabili sulla base di un definitivo semplificato (nuovo testo dell’art.23 comma 3 bis) : qui il maxi emendamento di conversione ha confermato tale norma, ma trasformandola in norma temporanea “applicabile solo per gli anni 2019 e 2020”.
Concludendo, se tale è effettivamente l’intenzione politica, appare veramente urgente promuovere una nuova spinta legislativa in grado di promuovere efficacemente appalto integrato.
Sarebbe una iniziativa auspicabile stante la perdita di 1 punto percentuale di PIL che la crisi del settore ha accusato tra 2007 e 2017 (fonte Confindustria). Altrettanto opportuno sarebbe però puntare contemporaneamente sulla qualificazione delle stazioni appaltanti che in 10 anni hanno perso circa 15 mila geometri, ingegneri, architetti e periti (dati Cisl), poiché il mercato dei lavori in Italia è in continuo calo mentre in Europa cresce costantemente dal 2014. Inoltre, senza incentivo alla progettazione interna, considerato anche lo “sblocco-non sblocco” dell’appalto integrato, lo sviluppo delle progettazioni subisce un colpo e i nuovi progetti esecutivi da mettere in gara risultano sempre più rari.
Vero che l’appalto integrato è sempre stato ritenuto istituto gradito alle imprese “più strutturate” (perciò pesantemente criticato tanto dai progettisti quanto dalle piccole imprese), facendo il paio con l’ampliamento del ricorso al subappalto. La scelta di tornare ad utilizzarlo, sia pur temporaneamente, sembra dettata non da una visione strategica, ma dalla presa d’atto della incapacità delle amministrazioni di fare fronte con le risorse interne.
L’iniziativa “Sblocca Cantieri” (intesa come censimento e intervento sulle commesse bloccate) risale aprile 2018: ma questa norma, sia per gli errori di tecnica legislativa, sia per un probabile errore di prospettiva, non sblocca un gran che: forse farà effettivamente ripartire alcuni “progetti”, ma è scomparso dei radar qualsiasi tipo di intervento strutturale finalizzato a risolvere la vera emergenza del momento: l’esigenza di semplificazione dell’iter di approvazione dei progetti e di qualificazione e potenziamento delle stazioni appaltanti.
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