Secondo la Corte di Giustizia Europea (causa C-63/18, sentenza 26 settembre 2019) sono contrarie le disposizioni del Codice Appalti che limitano il ricorso al subappalto a una percentuale massima (del 30 o del 40 per cento), in via generale e astratta.A seguito della richiesta del Tar Lombardia,la Corte di Giustizia Europea si pronuncia sulla compatibilità con il diritto europeo della normativa italiana sul subappalto, e in particolare del limite generale del 30 per cento di prestazioni subappaltabili (attualmente 40 per cento). In sostanza, come era stato sostenuto nella lettera della Commissione Europea che apriva la procedura di infrazione contro l’Italia, sono da considerare vietati i limiti assoluti alle prestazioni che possono essere subappaltate a terzi dall’affidatario di un appalto pubblico.Il limite del 30 per cento (ma anche il limite del 40 per cento previsto dallo Sblocca Cantieri).E’ quindi illegittimo, e il problema non è l’esatta individuazione percentuale della soglia, ma la sua stessa esistenza.Viene così applicato un principio già affermato nella sentenza Wrocław – Miasto na prawach powiatu (C‑406/14, EU:C:2016:562).In quella sede era stato stabilito che la clausola del capitolato di un appalto pubblico di lavori che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, è incompatibile con la direttiva appalti.La premessa della decisione è che il ricorso al subappalto, che può favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, è funzionale al fine di rendere possibile la più ampia apertura di un bando di gara alla concorrenza.La lotta alla criminalità organizzata non può giustificare una così radicale e sproporzionata limitazione del subappalto.Per difendere la conformità della norma italiana al diritto europeo, il Governo ha sostenuto che essa era giustificata alla luce delle particolari circostanze presenti in Italia, dove il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi. Limitando la parte dell’appalto che può essere subappaltata, la normativa nazionale renderebbe il coinvolgimento nelle commesse pubbliche meno appetibile per le associazioni criminali, il che consentirebbe di prevenire il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche e di tutelare così l’ordine pubblico.I giudici europei hanno concesso che, in astratto, sarebbe possibile per il legislatore nazionale prevedere tali limitazioni, più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva in materia di subappalto, per contrastare fenomeni criminosi.Infatti il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del Trattato che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubbliciTuttavia, conclude la sentenza, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.Ciò che sembra eccessivo è il fatto che – per tutti gli appalti – una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione.Secondo la C.G.E., misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano, e il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese.
Sembra di potere leggere, tra le righe della sentenza, un’apertura ad una possibilità di limitare il subappalto non in via generale e astratta, ma autorizzando la specifica stazione appaltante a limitare essa stessa tale istituto, magari ponderando discrezionalmente.A tale scopo dovrebbe essere necessario dimostrare che siffatto divieto al subappalto risulti necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione.Le criticità del subappalto in Italia era già stata segnalata dalla lettera della Commissione Europea, che avviava la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.In quella sede la Commissione ha criticato il limite generale al subappalto, ma anche una serie di altri aspetti, che non sono stati oggetto della decisione della Corte di Giustizia:
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