La previsione di limiti quantitativi al subappalto non è consentita solo se essi vengono fissati in via generale e astratta, mentre è possibile quando riguarda una specifica categoria di prestazioni e sia giustificata da “precise ragioni tecniche”.
A confermare quindi la legittimità del diniego di un’istanza di subappalto è la sentenza del Consiglio di Stato del 9 maggio 2024, n. 4161, che si è espresso in relazione a una procedura aperta per l’affidamento di un appalto di lavori. Il disciplinare prevedeva limiti quantitativi al subappalto, in particolare, nella misura del 30% con riguardo a una categoria di lavorazioni.
In sede di esecuzione contrattuale, l’impresa ha chiesto di subappaltare parte dei lavori per un importo superiore al 30%, che la SA ha negato sul presupposto che sarebbe stato superato il limite del 30% previsto per quelle particolari categorie di lavorazioni, come segnalato nel disciplinare di gara.
Da qui il ricorso, nel quale l’impresa ha richiamato la sentenza CGUE 27 novembre 2019, in causa C-402/18, che ha dichiarato incompatibile con la direttiva 2014/24/UE l’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei Contratti) sulle limitazioni quantitative al subappalto.
Già in primo grado il TAR aveva specificato che la CGUE non ha inteso censurare in assoluto la previsione di limiti quantitativi al subappalto, ma solo la loro fissazione in via generale e astratta ad opera della fonte primaria; in tale prospettiva l’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 è stato ritenuto in contrasto con il principio di proporzionalità, potendosi ipotizzare misure meno restrittive idonee a perseguire l’obiettivo del legislatore di contrasto alla criminalità organizzata. Ciò comporta che non è possibile ricavare un divieto assoluto all’apposizione di limiti quantitativi al subappalto, ma essa è consentita “con riferimento a una specifica categoria di prestazioni e giustificato da “precise ragioni tecniche”. Esso risulta dunque frutto di una valutazione “in concreto” dell’ente aggiudicatore, espressamente salvaguardata dalla C.G.U.E.”.
In appello è stata riproposta la stessa questione:
Si tratta di tesi che non hanno convinto nemmeno il Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada hanno preliminarmente sottolineato che la sentenza della CGUE ha stabilito che la direttiva 2004/18/CE deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che limita al 30 per cento la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi; in particolare, la pronuncia in questione ha stigmatizzato il fatto che la normativa nazionale oggetto del procedimento principale imponga in modo generale e astratto che l’offerente realizzi una parte rilevante delle prestazioni autonomamente, anche se tale limite nel ricorso al subappalto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto, rilevando che «l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano potrebbe essere raggiunto da misure meno restrittive», implicanti specifiche valutazioni.
Tale essendo l’ambito del dictum, occorre chiedersi se siano legittime le clausole della lex specialis secondo cui e «è ammesso il subappalto delle lavorazioni appartenenti a tutte le categorie di cui si compone l’appalto, con le limitazioni qualitative e quantitative su specifiche prestazioni essenziali di seguito elencate […]. Le lavorazioni appartenenti alle categorie OS28 e OS30 sono subappaltabili soltanto nella misura del 30% del loro valore. Tale limitazione è imposta in considerazione della rilevante complessità tecnica di tali lavorazioni, che richiede la prestazione prevalente e diretta dell’appaltatore, ai fini della corretta esecuzione del complesso impiantistico, la cui qualità e funzionalità è determinante per la caratterizzazione NZEB del nuovo edificio».
Più specificamente, muovendo dal presupposto che l’art. 105 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella versione precedente alle modifiche apportate dal d.l. n. 77 del 2021, laddove pone il limite generalizzato quantitativo del trenta per cento al subappalto, è incompatibile con il diritto eurounitario e va dunque disapplicato, occorre valutare se la specifica e motivata limitazione contenuta nella lex specialis possa invece ritenersi legittima.
La risposta per il Consiglio è sì: proprio alla stregua di quanto chiarito dalla più volte richiamata sentenza della Corte di Giustizia, la quale, al punto sub 47, ha evidenziato come non coerente con il diritto europeo una normativa nazionale «che vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto per una quota parte che superi una percentuale fissa dell’importo dell’appalto pubblico di cui trattasi, sicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, della natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un tale divieto generale non lascia spazio alcuno a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore», ciò significa che, al contrario, una limitazione specifica del ricorso al subappalto, assistita da adeguata motivazione, debba ritenersi consentita.
Il ricorso è stato quindi respinto: nel caso in esame, vi è la chiara esternazione delle ragioni della limitazione del subappalto nelle categorie OS28 e OS30, ravvisabile “nella complessità tecnica delle lavorazioni, che richiede la prestazione prevalente e diretta dell’appaltatore, ai fini della corretta esecuzione del complesso impiantistico”. Questa è la motivazione del limite quantitativo al subappalto per le due lavorazioni sopra indicate, e non già la caratterizzazione NZEB del nuovo edificio.
Peraltro, conclude il Consiglio, è lo stesso art. 63, par. 2, della direttiva 2014/24/UE che consente all’amministrazione aggiudicatrice di esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente.
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