Uno dei punti fondamentali in materia di affidamento di servizi tecnici attiene i requisiti speciali che possono essere spesi in gara e in che modo devono essere documentati.
Tanti i quesiti che ne possono venire fuori: quali prestazioni possono essere utilizzate dagli operatori economici per dimostrarli? È sufficiente aver svolto servizi analoghi per committenti privati, oppure occorre sempre il riferimento ad attività approvate dalla pubblica amministrazione?
A fornire chiarimenti sulla spendita dei requisiti professionali è il Consiglio di Stato con la sentenza del 12 agosto 2025, n. 7031, in relazione a un contenzioso sull’aggiudicazione di un appalto integrato, in cui l’impresa aggiudicataria si è avvalsa di una società di ingegneria esterna per coprire i requisiti di progettazione.
L’operatore escluso ha contestato la validità della documentazione prodotta, sostenendo che:
Il TAR aveva rigettato il ricorso, ritenendo legittima l’aggiudicazione. La decisione è stata confermata in appello dal Consiglio di Stato, ribadendo che:
Vediamo il percorso che ha portato i giudici di Palazzo Spada a questa decisione.
La controversia ha chiamato in causa diverse disposizioni del d.lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici):
Preliminarmente, Palazzo Spada ha specificato come la questione riguardasse un appalto integrato ex art. 44 d.lgs. 36/2023, motivo per cui progettazione ed esecuzione sono collegate e che il capitolato deve essere letto come integrazione tecnica del disciplinare, non come fonte in grado di introdurre nuovi requisiti di ammissione.
Il Collegio ha osservato che «il bando, il disciplinare di gara e il capitolato speciale d’appalto hanno ciascuno una propria autonomia ed una peculiare funzione» e che «in presenza di mere integrazioni o specificazioni a opera del capitolato… entrambe le previsioni devono trovare applicazione, integrandosi fra di loro».
In relazione alla questione se e in quale misura le prestazioni effettuate per committenti privati possano costituire prova dei requisiti tecnici richiesti, i giudici affemano con chiarezza che «non può negarsi rilievo a servizi svolti in favore di committenti privati, purché documentati con contratti, fatture e attestazioni di regolare esecuzione», richiamando anche l’indirizzo ANAC che ritiene sufficiente il certificato di regolare esecuzione unitamente al contratto e alle fatture.
Il Consiglio sottolinea che la stazione appaltante deve valutare la congruità della documentazione prodotta e può richiedere chiarimenti, ma non può spingersi a introdurre requisiti documentali non previsti dalla lex specialis o non coerenti con la natura privata del rapporto.
Non solo: per i requisiti cd. «di punta» il Collegio applica il criterio della congruenza tecnica ed economica e non l’identità formale. Citando il disciplinare la Corte evidenzia che il requisito impone parametri oggettivi (numero di servizi, importo cumulato, caratteristiche tecniche) e che la valutazione si fonda sul confronto tra questi elementi e la prestazione richiesta.
Ciò che rileva è la congruenza tecnica ed economica dei servizi svolti rispetto alla soglia minima richiesta e non l’assoluta identità delle prestazioni. Non è quindi richiesto che i servizi siano “identici” a quelli oggetto di gara, ma che siano riconducibili al settore dell’ingegneria e architettura e proporzionati all’importo richiesto.
L’appello è stato quindi respinto, confermando la legittimità dell’aggiudicazione. La decisione rafforza un principio di equilibrio tra rigore della prova e apertura al mercato:
Questa impostazione è in linea anche con precedenti orientamenti dell’ANAC, secondo cui per i servizi a privati non è esigibile la stessa documentazione tipica dei rapporti pubblici.
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