Il direttore dei lavori è responsabile degli abusi edilizi anche se si è dimesso dal suo incarico. Lo ha affermato di recente la Corte di Cassazione con la sentenza 46477/2017.I giudici hanno spiegato che l’unico modo per evitare di essere coinvolti nelle responsabilità è indicare chiaramente che il motivo delle dimissioni sono i disaccordi con la committenza. In caso contrario, il direttore dei lavori risponde delle opere realizzate in difformità dal titolo abilitativo.Nel caso preso in esame, durante la realizzazione di un complesso residenziale, il Comune aveva rilasciato un permesso di costruire in sanatoria perché, al momento dei lavori, era emersa la necessità di realizzare dei volumi tecnici e delle opere di contenimento superando la volumetria massima consentita.In realtà, l’impresa esecutrice dei lavori aveva realizzato volumi utilizzabili a fini residenziali. Il direttore dei lavori aveva quindi diffidato sia l’impresa sia il committente, chiedendo il ripristino ai sensi del progetto approvato in variante. Anche da successivi accertamenti era emerso che non si trattava di vani tecnici e il Comune aveva quindi imposto la loro demolizione. Ma non solo, perché impresa, committente e direttore dei lavori erano stati condannati per abuso edilizio.Dopo il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, il direttore dei lavori aveva rassegnato le sue dimissioni adducendo dei generici motivi personali, non imputabili alla committenza. Questo passaggio ha determinato la sua responsabilità per gli abusi edilizi commessi.I giudici hanno ricordato che “la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che il direttore dei lavori non risponde degli illeciti edilizi solo se presenta denuncia di detti illeciti ai competenti uffici dell’Amministrazione comunale e se rinuncia all’incarico osservando per entrambi gli adempimenti l’obbligo della forma scritta”.Nel caso preso in esame, invece, il direttore dei lavori si è limitato a richiamare il committente. Per questi motivi la Cassazione ha confermato la multa di 21mila euro e una pena di otto mesi di arresto.
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