Appalto integrato: cosa cambierà nel nuovo Codice dei contratti?
Parlare di appalto integrato non è semplice, il rischio è quello di cadere dentro argomentazioni di parte di chi mette al centro il progetto e chi, invece, la razionalizzazione dei costi per la pubblica amministrazione.
Partiamo dallo stato dell’arte. L’appalto integrato è una formula di affidamento congiunto della fase di progettazione e di quella esecutiva. All’interno del D.Lgs. n. 50/2016 non si parla mai espressamente di appalto integrato ma viene richiamato negli articoli:
Di appalto integrato si è ricominciato a parlare tanto con il Decreto Sblocca Cantieri e successivamente con i due Decreti Semplificazione. Ma, da cosa nasce il tentativo/voglia di separare le due fasi progettuale/esecutiva?
Il D.Lgs. n. 50/2016, ovvero l’attuale norma di rango primario che regola il mondo dei contratti pubblici, è stato redatto sulla base della Legge 28 gennaio 2016, n.11 che delegava il Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014.
L’art. 1, comma 1, lettera oo) della Legge n. 11/2016, tra i criteri e le direttive definite per circoscrivere l’azione di Governo, prevedeva:
“valorizzazione della fase progettuale negli appalti pubblici e nei contratti di concessione di lavori, promuovendo la qualità architettonica e tecnico-funzionale, anche attraverso lo strumento dei concorsi di progettazione e il progressivo uso di metodi e strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione elettronica e informativa per l’edilizia e le infrastrutture, limitando radicalmente il ricorso all’appalto integrato, tenendo conto in particolare del contenuto innovativo o tecnologico delle opere oggetto dell’appalto o della concessione in rapporto al valore complessivo dei lavori e prevedendo di norma la messa a gara del progetto esecutivo; esclusione dell’affidamento dei lavori sulla base della sola progettazione di livello preliminare, nonché, con riferimento all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e di tutti i servizi di natura tecnica, del ricorso al solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta”.
L’intento del Parlamento era chiaro: limitare “radicalmente” l’utilizzo dell’appalto integrato.
Recentemente, sulla base di una precisa programmazione prevista dal Governo, la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge delega per la riforma del Codice dei contratti. A questa seguirà il via libera da parte del Senato e poi la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Poi partirà il countdown previsto:
Nella bozza di disegno di legge delega, è previsto espressamente:
procedere all’indicazione dei contratti pubblici esclusi dall’ambito di applicazione delle direttive europee nonché delle ipotesi in cui le stazioni appaltanti possano ricorrere all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori (c.d. appalto integrato).
In sede referente, sono stati poi inseriti una serie di vincoli per l’utilizzo dell’appalto integrato:
Il Dossier messo a punto dalla Camera ricorda che il divieto del ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione di lavori (appalto integrato), previsto nell’ambito delle procedure di scelta del contraente dall’art. 59 del Codice dei contratti pubblici, è stato sospeso fino al 30 giugno 2023 dall’art. 52, comma 1, D.L. 77/2021. Inoltre l’art. 48, comma 5, del medesimo decreto-legge, ha dato nuovo impulso a tale strumento nell’ambito degli interventi finanziati “con le risorse previste dal PNRR e dal PNC e dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea”, ammettendo l’affidamento di progettazione ed esecuzione dei relativi lavori anche sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica.
La sensazione è che l’appalto integrato tornerà di moda tra le procedure di affidamento. Ma questo lo sapremo solo quando sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il futuro Codice dei contratti pubblici.
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