Codice appalti: Sul tetto del 30% nel subappalto la parola al giudice europeo

Le avvisaglie sulla questione di compatibilità o meno del divieto di subappalto oltre il 30 per cento dei lavori, previsto dall’art. 105, comma 2, del Codice dei contratti con il diritto comunitario si erano avute a seguito di un esposto che l’ANCE aveva presentato l’8 febbraio 2016 alla Commissione Europea, al fine di verificare, per il subappalto, la coerenza tra codice e la vigente Direttiva 2014/24/UE.È di questi giorni la sentenza del TAR Lombardia n.28 del 5 gennaio 2018 che ha rimesso alla Corte di Giustizia U.E. la questione della compatibilità o meno con il diritto comunitario del divieto di subappalto oltre il 30 per cento dei lavori, previsto dall’art. 105, comma 2, del nuovo Codice dei contratti pubblici. I giudici del TAR hanno ritenuto di sollevare, con separata ordinanza, questione pregiudiziale di interpretazione del diritto comunitario, per verificare se quest’ultimo osti all’applicazione delle regole nazionali che, nel settore degli appalti pubblici, impongono che il subappalto non possa superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori.La risposta della Commissione europea sembrerebbe, a questo punto, scontata anche perché, la Direzione generale “Mercato interno” della Commissione UE, in risposta al ricorso presentato dall’ANCE, con una nota del 30/03/2017 inviata alle Autorità italiane, aveva evidenziato che le norme sul subappalto contenute nel nuovo codice degli appalti sono in contrasto con le norme e la giurisprudenza UE.In particolare, secondo gli uffici di Bruxelles, le norme di recepimento, dichiaratamente restrittive in materia di subappalto, adottate dall’Italia, risultano in contraddizione con la normativa UE sugli appalti, che ha come principale obiettivo quello di rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi nonché di facilitare la partecipazione delle PMI nelle procedure di appalto.Di contro, la disciplina di cui all’articolo 105, ad avviso della Commissione UE, sembrerebbe creare un sistema in cui il subappalto è, in linea generale, vietato (comma 1: “I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto“), eccetto che nei casi specificati nell’articolo 105, e la previsione di limiti quantitativi generali e astratti applicabili laddove il subappalto è consentito.Valutando la disciplina interna in netto contrasto con le norme e la giurisprudenza UE, gli uffici della Commissione hanno chiesto alle Autorità italiane di correggere le disposizioni sul subappalto, in maniera da garantirne la piena rispondenza con i principi del diritto dell’Unione Europea.Ciò nonostante, il testo definitivo del correttivo al codice degli appalti non ha modificato l’impostazione sostanzialmente iniziale sul subappalto.Il fatto stesso che il TAR della Lombardia abbia ritenuto di rimettere alla Corte di Giustizia U.E. la questione della compatibilità o meno con il diritto comunitario del divieto di subappalto oltre il 30 per cento dei lavori, previsto dall’art. 105, comma 2, del nuovo Codice dei contratti pubblici conferma i dubbi espressi dell’ANCE nell’esposto presentato alla Commissione Europea l’8 febbraio dello scorso anno, ritenendo che la previsione di cui all’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 non sia in linea con la normativa comunitaria, in quanto quest’ultima, in materia di subappalto, non prevede alcuna limitazione quantitativa. La sentenza contiene, poi, un’importante principio, sempre in tema di subappalto. I giudici, infatti, ritengono che il limite quantitativo del 30% alla possibilità di ricorrere al subappalto di lavori si riferisce all’importo a base di gara, e non all’importo del contratto. Diversamente, infatti, si favorirebbero situazioni di incertezza (fino al momento dell’aggiudicazione) circa l’effettivo rispetto del limite in questione da parte dei concorrenti e si legittimerebbero irragionevoli trattamenti differenziati tra gli operatori economici.

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