Il decreto del MIT per la determinazione dei compensi dei commissari di gara (Decreto 12 febbraio 2018) deve essere annullato nella parte in cui fissa il compenso lordo minimo per i componenti della commissione giudicatrice di cui all’art. 77 del Codice degli appalti, mentre secondo la legge doveva prevedere solo il massimo.Il Tar Lazio annulla, dopo averlo già sospeso in precedenza, il Decreto Ministeriale del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, con la determinazione dei compensi dei commissari di gara, nella parte in cui prevedeva un compenso minimo: secondo i giudici il decreto sarebbe andato oltre quanto stabilito dalla legge, l’art. 77 del Codice Appalti.Oggetto della sentenza n. 6926 del Tar Lazio è il decreto del 12 febbraio 2018, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 2018, avente ad oggetto “Determinazione della tariffa di iscrizione all’albo dei componenti delle commissioni giudicatrici e relativi compensi”.Il Comune che aveva presentato il ricorso sosteneva che il compenso minimo, previsto in 3000 euro per gli appalti di valore più basso, rendeva sostanzialmente impossibile per un piccolo ente procedere a buona parte delle gare necessarie al perseguimento dei fini istituzionali, attesa l’esosità dei rimborsi minimi previsti per i commissari di gara.Oggetto di annullamento è il decreto emanato in virtù del comma 10 dell’art. 77 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Codice degli appalti”) che, al secondo capoverso, ha previsto che “Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’ANAC, è stabilita la tariffa di iscrizione all’albo e il compenso massimo per i commissari. I dipendenti pubblici sono gratuitamente iscritti all’Albo e ad essi non spetta alcun compenso, se appartenenti alla stazione appaltante”.Il decreto del 12 febbraio 2018, in attuazione della disposizione, ha ha fissato anche i compensi minimi dei commissari, posti come limite minimo inderogabile, con previsione di tre scaglioni di valore: è stato previsto, per lo scaglione più basso, quale compenso minimo per ciascun commissario, l’importo di € 3.000,00 oltre rimborso spese.Tuttavia, secondo la sentenza, il decreto impugnato, travalicando i limiti normativamente imposti al suo oggetto, ha fissato anche il compenso minimo in mancanza di copertura legislativa.Invero andava considerato il principio secondo cui il legislatore ubi voluit dixit: nella disposizione in rassegna il legislatore parla espressamente di compenso “massimo”, senza lasciare margini interpretativi in ordine alla possibilità di stabilire anche un compenso “minimo” o un compenso tout court.Aggiungere un diverso limite sarebbe pertanto illegittimo “in quanto finirebbe per far dire alla legge una cosa che la legge non dice (e che, si presume, secondo il suddetto canone interpretativo, non voleva dire)” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, 6 marzo 2019, n. 3023).Inoltre il Ministero dei Trasporti, secondo il Collegio, doveva avere riguardo alla ratio sottesa alla disposizione in parola, che è quella del contenimento della spesa, reso possibile anche attraverso specifici meccanismi di trasparenza.A questo fine viene citata la relazione illustrativa della disposizione, dove è espressamente indicato che “le spese relative alla commissione sono inserite nel quadro economico dell’intervento tra le somme a disposizione della stazione appaltante. Lo stesso comma prevede l’emanazione di un decreto ministeriale (emanato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’ANAC) per la determinazione della tariffa di iscrizione all’albo e del compenso massimo per i commissari. I dipendenti pubblici sono gratuitamente iscritti all’Albo e ad essi non spetta alcun compenso, se appartenenti alla stazione appaltante”.Dunque, dovendo le spese per il funzionamento della commissione costituire una voce del quadro economico dell’intervento, mentre si spiega la fissazione di un compenso “massimo”, va in direzione decisamente contraria la fissazione di un compenso “minimo”.Sotto il profilo della legittimità del Decreto, conclude il TAR, è irrilevante il parere dell’ANAC del 2 novembre 2017, favorevole a tale compenso minimo.Infatti non può attribuire legittimità al provvedimento il fatto che la previsione di una misura minima dei compensi era stata condivisa con l’ANAC, che, con proprio parere del 2 novembre 2017, aveva evidenziato come la fissazione di un limite minimo del compenso avrebbe consentito “di scongiurare il rischio di determinazione del compenso al ribasso, a detrimento della prestazione”: si tratta di una esigenza che, per quanto apprezzabile, non poteva essere soddisfatta con lo strumento in parola, ma attraverso una disposizione di legge.
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