Contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura

Contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura e deroga al regime autorizzatorio del subappalto: presupposti applicativi e contenuto.

Quali sono i presupposti applicativi per la legittima configurazione dell’istituto dei contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura, per i quali si applica una deroga al regime autorizzativo del subappalto e ai relativi limiti massimi?I contenuto dei contratti continuativi di cooperazione è limitato alle sole attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto?

Per rispondere a questi quesiti, procederemo con l’esaminare la normativa di riferimento, passando poi velocemente in rassegna i principi affermati dalla giurisprudenza, fino alle ultime statuizioni del Consiglio di Stato sul punto, espresse con la sentenza qui in commento (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 aprile 2020, n. 2553).

1. La normativa di riferimento

1.1. Il Codice dei contratti pubblici prevede un novero tassativo di “categorie di forniture o servizi” che, “per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto”.Tra tali categorie, per le quali si applica una deroga rispetto al regime autorizzativo del subappalto, il Codice comprende “le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura” (art. 105, comma 3, lett. c-bis), inserita dall’art. 69, comma 1, lett. c), D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56).

1.2. Nel disciplinare l’istituto dei contratti continuativi di cooperazione il Codice detta una regolamentazione normativa molto scarna e sintetica, stabilendo solamente che:

  • gli stessi devono necessariamente essere “sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto”;
  • quanto alle modalità operative, tali contratti devono essere depositati presso la Stazione appaltante “prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”.

2. Contratti continuativi di cooperazione e requisiti di partecipazione

2.1. La giurisprudenza amministrativa di primo grado è intervenuta nel chiarire che il possesso di requisiti di partecipazione (nel caso affrontato, si trattava della titolarità di particolari autorizzazioni settoriali) non potrebbe essere legittimamente soddisfatto mediante la stipulazione di contratti continuativi di cooperazione (TAR Emilia Romagna, Sez. II, 29 gennaio 2020 n. 87).Per sopperire alla carenza dei requisiti soggettivi di partecipazione alla gara che l’operatore economico concorrente non possieda direttamente, invero, è consentito ricorrere unicamente ai moduli partecipativi che l’ordinamento mette a disposizione, tra cui i raggruppamenti temporanei di imprese e la formula contrattuale rappresentata dall’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 89 del Codice, che può essere utilizzato per soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’art. 83, comma 1, lett. b) e c), del Codice stesso.

Con riferimento a quest’ultimo profilo, merita menzione la decisione del giudice amministrativo (TAR Veneto, Sez. I, 15 febbraio 2019, n. 198) che ha considerato legittima l’esclusione di un operatore che intendeva comprovare il possesso del requisito partecipativo fissato dalla legge di gara dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali (ANGA) tramite lo strumento del contratto continuativo di cooperazione.Ciò in un contesto in cui, come noto, l’iscrizione all’ANGA non può essere oggetto di avvalimento (art. 89, comma 10, del Codice) e rappresenta un requisito di partecipazione e non già di mera esecuzione, per orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (tra le altre, vedasi Consiglio di Stato, Sez. V, 3 giugno 2019 n. 3727), in allineamento con l’impostazione dell’ANAC (tra le altre, vedasi la delibera n. 575 del  13 giugno 2018).I contratti continuativi di cooperazione, dunque, hanno una rilevanza solo in fase esecutiva, pur non essendo configurabili come subappalto e non essendo pertanto soggetti al relativo iter autorizzatorio.

3. Il soggetto beneficiario della prestazione

Perché possano legittimamente configurarsi come contratti continuativi di cooperazione è indispensabile che le prestazioni oggetto degli stessi siano “rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non invece direttamente a favore di quest’ultimo come avviene nel caso del subappalto”.In termini ancor più chiari, il soggetto che dal tenore contrattuale risulti essere il diretto beneficiario della prestazione deve pertanto identificarsi con l’appaltatore medesimo, affidatario del contratto pubblico.

Tale connotato rappresenta la principale differenza che intercorre con il subappalto, che, invece, pur stipulato tra appaltatore e subappaltatore, prevede l’erogazione di prestazioni in favore della committenza pubblica appaltante quale destinatario in via diretta.

Si tratta di un elemento necessario dei contratti in discorso, da ultimo enunciato anche nella decisione del Consiglio di Stato in commento (sentenza della Sez. V del 22 aprile 2020 n. 2553), che cristallizza un principio da ritenersi ormai consolidato in giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7256).

4. Contenuto e prestazioni oggetto dei contratti continuativi di cooperazione

4.1. Il contenuto delle prestazioni rientranti nel perimetro dei contratti continuativi di cooperazione è stato oggetto di un interessante dibattito giurisprudenziale che ha visto l’affermarsi di posizioni contrastanti.

4.2. Si rinviene, infatti, da una parte, un orientamento restrittivo secondo cui tra le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione possono essere ricomprese solamente le attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto.Circoscriverne l’oggetto alle attività sussidiarie e/o secondarie permetterebbe di allineare l’interpretazione del dettato codicistico al principio generale nella materia degli appalti pubblici a mente del quale “le attività oggetto di appalto devono, in linea di principio, essere eseguite dal soggetto che risulta aggiudicatario delle stesse, con le eccezioni, e le correlate cautele, espressamente previste per legge” (TAR Sicilia, Sez. III, 6 dicembre 2018, n. 2583).Diversamente opinando, si andrebbe incontro ad una “vistosa deviazione rispetto al principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto, in assenza di alcuna forma di tutela degli interessi pubblici immanenti nell’aggiudicazione ed esecuzione di un appalto; per cui non potrebbe non dubitarsi seriamente della congruenza della norma con le disposizioni comunitarie e financo costituzionali incidenti sulla materia” (TAR Lazio, Sez. III, 29 gennaio 2019, n. 1135).

4.3. Dall’altra, si è contrapposta una diversa posizione giurisprudenziale secondo cui la limitazione ad attività sussidiarie e secondarie “non ha alcun riscontro testuale nella norma e si risolve pertanto in una inammissibile interpretazione sostanzialmente abrogante della norma medesima” (TAR Emilia Romagna, Sez. II, 4 marzo 2019, n. 221).

4.4. Con riguardo all’impostazione del Consiglio di Stato, secondo un primo intervento dello stesso sulla questione non sarebbe possibile “circoscrivere l’utilizzazione dell’istituto (…) con riferimento alle prestazioni secondarie e/o sussidiarie, ovvero a quelle non direttamente rivolte alla stazione appaltante e non coincidenti contenutisticamente con la prestazione dedotta in contratto: prestazioni che, anche a prescindere dalla previsione suindicata, sarebbero state comunque e legittimamente acquisibili ab externo dal soggetto affidatario, rivolgendosi ai propri fornitori, indipendentemente dall’epoca di stipula dei relativi contratti e senza essere tenuto al deposito degli stessi presso la stazione appaltante” (Consiglio di Stato, Sez. III, 18 luglio 2019, n. 5068).

Nel caso di specie, la decisione appena richiamata ha avuto modo di ritenere in astratto legittimo garantire, tramite un contratto continuativo di cooperazione, servizio e/o fornitura, sottoscritto in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto, la sussistenza del requisito richiesto, consistente nella disponibilità di una “sede operativa” che presentasse specifiche caratteristiche geografiche e che fosse destinata ad ospitare l’esecuzione del servizio oggetto di affidamento.

5. L’ultimo intervento del Consiglio di Stato: la sentenza della Sez. V del 22 aprile 2020 n. 2553

5.1. La sentenza del Consiglio di Stato in commento è intervenuta in esito ad un giudizio sorto in relazione ad una gara bandita per l’affidamento del servizio di trattamento e/o smaltimento di rifiuti, per la quale veniva richiesta la messa a disposizione di un impianto idoneo a trattare e/o smaltire i rifiuti oggetto di gara, sito entro una determinata distanza massima dal punto di prelievo e dotato di regolare autorizzazione.Il concorrente aggiudicatario aveva dichiarato, in sede di gara, di aver stipulato, in conformità con quanto prescritto dalla lett. c- bis), del comma 3, dell’art. 105, D.Lgs. n. 50/2016, un contratto continuativo con una società terza, sottoscritto in epoca anteriore all’indizione della procedura di gara e avente ad oggetto il servizio di gestione, conduzione e manutenzione ordinaria dell’impianto proposto di cui poteva vantare la disponibilità.

L’amministrazione appaltante riteneva inidonea la documentazione presentata a comprova – e, in particolare, il predetto documento contrattuale -, in quanto non sufficiente, ai fini dell’esonero dalla disciplina del subappalto, a dimostrare la sussistenza delle condizioni dichiarate dall’operatore in sede di gara, e quindi procedeva alla revoca dell’aggiudicazione emessa in favore dello stesso.

5.2. Il Consiglio di Stato, a definizione del contenzioso sorto a seguito dell’impugnativa della predetta revoca da parte del medesimo operatore già aggiudicatario, confermava che nel caso di specie il titolo contrattuale “non poteva, infatti, ritenersi caratterizzato dai requisiti della generalità, stabilità, continuatività ed anteriorità (connotanti il rapporto di cooperazione in base al paradigma normativo)”, prescritti dall’art. 105, comma 3, lett-bis), del Codice. Nel chiarire ulteriormente il contenuto che i contratti continuativi di cooperazione in discorso devono presentare per rientrare nel perimetro della categoria normativa, la decisione ha richiamato l’indirizzo giurisprudenziale sopra descritto, secondo cui “l’istituto de quo, proprio perché si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto, è evidentemente ancorato ai medesimi presupposti applicativi, a cominciare dalla determinazione contenutistica della prestazione eseguibile mediante il ricorso all’impresa convenzionata” (in tal senso, si veda la pronuncia sopracitata del Consiglio di Stato n. 5068/2019).Quest’ultimo indirizzo pretorio, più estensivo, si impernia su una interpretazione letterale più aderente della norma codicistica (art. 105, comma 3, lett. c-bis), secondo cui tale disposizione normativa parla genericamente di “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” e, pertanto, non assume valenza restrittiva della portata applicativa della previsione, ma allude alla direzione “giuridica” della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante, anche agli effetti della connessa responsabilità, è quella esistente tra Stazione appaltante e soggetto affidatario.In tal modo, il Consiglio di Stato ha segnato un’ulteriore tappa nel solco del proprio orientamento, in via di consolidamento, che non limita l’oggetto dei contratti continuativi di cooperazione alle sole prestazioni secondarie e/o sussidiarie.

6. Conclusioni

6.1. In conclusione ed estrema sintesi, ricostruita la cornice normativa di riferimento e prospettata l’evoluzione giurisprudenziale, rispondendo ai quesiti posti nell’introduzione, si potrebbe riassumere come segue il decalogo delle caratteristiche che dovrebbero presentare i contratti continuativi di cooperazione, i quali:

  • non possono essere utilizzati per soddisfare i requisiti di partecipazione previsti a pena di esclusione né per acquisire un maggiore punteggio da assegnare all’offerta tecnica;
  • devono essere perfezionati prima della stipula del contratto di appalto o contestualmente allo stesso (anteriorità);
  • non devono essere riferiti alla singola gara o ad una tipologia particolare di gare bensì delineare una regolamentazione generale del rapporto complessivo e trasversale di cooperazione che intercorre tra l’appaltatore e l’impresa terza (generalità, stabilità, continuatività);
  • devono presentare quale soggetto beneficiario giuridico e diretto delle prestazioni il soggetto appaltatore e non già la stazione appaltante;
  • in virtù dell’ultimo posizionamento del Consiglio di Stato, possono ricomprendere tutte le attività propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto pubblico, seppure – giova ricordarlo – secondo un orientamento della giurisprudenza di merito potrebbero avere ad oggetto solamente prestazioni limitate ad attività sussidiarie e secondarie.

6.2. Con particolare riferimento al contenuto dell’oggetto contrattuale, l’apertura da ultimo riscontrata nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, imperniata su di una interpretazione che si avvicina maggiormente alla lettera della norma, è particolarmente interessante in quanto potrebbe di riflesso avere l’effetto di incoraggiare le imprese ad utilizzare un istituto, quale quello dei contratti continuativi di cooperazione, che, per la sua atipicità e le incertezze applicative riscontrate, fatica ad essere ben compreso dagli operatori economici e quindi a diffondersi nella prassi operativa.

Valorizzare in tal senso lo strumento in argomento, in deroga al regime del subappalto, nell’attuale contesto agevolerebbe notevolmente l’operatività delle commesse pubbliche soprattutto lato operatore economico e avrebbe un significato particolarmente rilevante in sede esecutiva se solo si considera che il limite fissato ad oggi a livello normativo per le prestazioni in subappalto al 40 % dell’importo contrattuale è stato considerato compatibile  e non contrastante con il diritto comunitario dai più recenti approdi della giurisprudenza amministrativa di merito (TAR Lazio Sez. I 24 aprile 2020 n. 4183).

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