Costi della manodopera e spese generali: nuovo intervento del Consiglio di Stato. I costi di manodopera e delle spese generali per la partecipazione al bando di gara. Oltre che dei contratti collettivi nazionali. Una interessante sentenza emessa dal Consiglio di Stato (6786/2020) in cui vengono chiariti alcuni punti oscuri.
In analisi l’affidamento, tramite bando di gara, del servizio di ristorazione scolastica. A proporre ricorso, la società seconda classificata che contesta ben 4 punti. Motivi tutti respinti in primo grado. In primo luogo, la società contesta di non aver potuto acquisire, nonostante formale accesso agli atti, l’integrale documentazione di gara relativa alla società aggiudicataria e all’operato della stazione appaltante e di non aver potuto verificare la correttezza del procedimento di verifica dell’anomalia espletato nei confronti dell’offerta aggiudicata. Poi l’illegittimità del criterio di valutazione tecnica del disciplinare di gara relativo alla “fornitura di prodotti certificati” Bio, Igp, Dop e a “Km zero” perché “estraneo a qualsivoglia aspetto qualitativo della prestazione”, come pure la genericità dei criteri di valutazione quantitativi, con conseguente attribuzione di un potere di valutazione eccessivamente discrezionale in capo alla commissione di gara. Nel ricorso presentato al Consiglio di Stato si sono aggiunti altri motivi. L’incongruità dell’offerta aggiudicataria per contrasto tra il numero dei lavoratori indicati nell’offerta tecnica e quello riportato nelle giustificazioni, anche in relazione alle figure del dietista e del direttore del servizio, i cui costi sarebbero stati esclusi senza ragione da quello generale di tutti i lavoratori, l’esiguità dell’utile previsto, l’illegittima applicazione di tre diversi contratti di lavoro alle “medesime figure professionali sullo stesso appalto” e, infine, l’assenza di qualsiasi riferimento alle spese relative alle utenze di luce e gas poste in capitolato a carico del gestore. Oltre all’indeterminatezza dell’offerta dell’aggiudicataria per l’impossibilità di identificare il numero dei soggetti da impiegare nel servizio anche in ragione del monte ore indicato nella tabella presente nei giustificativi.
Non è la prima volta che si affronta la questione legata ai costi della manodopera nella presentazione di una proposta di offerta ad un bando di gara. Ci viene in soccorso il decreto legislativo numero 50 del 2016 (il codice degli appalti) in cui si legge che nel costo della manodopera deve essere compresa anche la retribuzione di quei dipendenti o consulenti esterni che sono impiegati dall’operatore economico per diversi (o, tutti) gli appalti assunti e non per un singolo e specifico appalto. Questi costi vengono definiti “costi indiretti della commessa”, poiché relativi al personale di supporto all’esecuzione dell’appalto o a servizi esterni, da tener distinti dai “costi diretti della commessa” comprensivi di tutti i dipendenti impiegati per l’esecuzione della specifica commessa. Nel caso analizzato, la società che ha proposto ricorso ha contestato il fatto che le due figure professionali (il dietista e il direttore del servizio) non fossero state inserite tra le figure professionali da retribuire per l’esecuzione dell’appalto.
Anche in questo caso leggiamo il D.Lgs. n. 50/2016. “Nell’offerta, l’operatore economico deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e di sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti”. Dice il Consiglio di Stato: “Quanto detto dal codice degli appalti è neutro, perché il significato potrebbe essere sia quello ristretto, riferito ai soli dipendenti subordinati che prestano l’attività esecutiva per lo specifico appalto, sia quello più ampio che comprenda l’interno fattore–lavoro necessario all’esecuzione dell’appalto, e, dunque, in questa ottica anche i servizi di supporto e ai servizi esterni. È preferibile, però, riferire il costo della manodopera ai soli costi diretti della commessa, esclusi, dunque, i costi per le figure professionali coinvolti nella commessa in ausilio e solo in maniera occasionale secondo esigenze non prevenibili. Quindi “l’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta – e la correlativa verifica della loro congruità imposta alla stazione appaltante – risponde all’esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione. Questo serve “ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l’offerta in gara maggiormente competitiva rispetto alle altre”.
Nella presentazione delle offerte c’è l’esigenza di tutela solo e proprio per quei dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa. Non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente (nella vicenda analizzata per esempio il dietista), ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (il direttore del servizio), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto. Quindi, scrive il Consiglio di Stato, la società aggiudicatrice non è tenuta ad inserire il costo del dietista e quello del direttore del servizio nell’ambito del costo complessivo della manodopera. Questo vuol dire che non si può affermare che la società “abbia modificato la sua offerta per non aver compreso nella tabella relativa al costo del lavoro fornita con le giustificazioni in sede di verifica di anomalia dette figure professionali, i cui servizi erano stati inseriti nell’offerta tecnica”.
Si possono applicare contratti diversi nella presentazione di una offerta di gara a parità di qualifica e mansione? Questo è stato uno dei motivi del ricorso presentato dalla società che afferma che questa operazione è una sorta di forma di “finanza creativa”, perché, “ove fosse applicato il Ccnl – dice la società che ha fatto ricorso – ne deriverebbe un costo del lavoro significativamente più elevato”. Ma per il Consiglio di Stato non è così. “L’applicazione di un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione – si legge nella sentenza – né la mancata applicazione di questo può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l’esclusione, sicché deve negarsi in radice che l’applicazione di un determinato contratto collettivo anziché di un altro possa determinare, in sé, l’inammissibilità dell’offerta”. Insomma una stazione appaltante non può imporre o esigere un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, “tanto più qualora una o più tipologie di contratti collettivi possano anche solo astrattamente adattarsi alle prestazioni oggetto del servizio da affidare”. Ma questo non vuol dire che l’imprenditore può fare un po’ come gli pare. “Una libertà – dice il Consiglio di Stato – che incontra il limite logico, ancor prima che giuridico in senso stretto, della necessaria coerenza tra il contratto che in concreto si intende applicare (e in riferimento al quale si formula l’offerta di gara) e l’oggetto dell’appalto; la scelta del contratto collettivo di lavoro applicabile al personale dipendente, che diverge insanabilmente, per coerenza e adeguatezza, da quanto richiesto dalla stazione appaltante in relazione ai profili professionali ritenuti necessari, è idonea di per sé a determinare una ipotesi di anomalia, riflettendosi sulla possibilità di formulare adeguate offerte sotto il profilo economico incoerenti o incompatibili essendo i profili professionali di riferimento”.
Nel ricorso viene contestato il fatto che nelle spese generali siano compresi i costi delle utenze di luce e gas. “Le “spese generali” costituiscono una voce di costo che comprende i costi di tutte le risorse – escluse quelle riconducibili alla manodopera e ad altre voci separatamente indicate – che l’operatore economico dichiara di impiegare per l’esecuzione della commessa – si legge nella sentenza – Non è richiesto – salvo diversa indicazione del bando o della stazione appaltante in sede di verifica dell’anomalia – che esse siano dettagliatamente esposte. La circostanza che tra quelle indicate in via esemplificativa non siano state espressamente richiamate le spese per le utenze di luce e gas non può per ciò solo indurre a ritenere che esse non siano state considerate dall’impresa e non è indice di incongruità dell’offerta a meno che non sia provata la incapienza della somma indicata per le spese generali”. Il ricorso è stato bocciato in toto dal Consiglio di Stato.
Powered by WPeMatico
Lascia un commento