Tutto nasce da una procedura aperta indetta dal Consorzio per le autostrade siciliane per l’aggiudicazione, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dell’appalto del servizio di sorveglianza attrezzatura per interventi urgenti ed assistenza al traffico, da svolgersi lungo tutte le tratte in esercizio delle autostrade A18 e A20, per un periodo massimo di dodici mesi, con un importo a base d’sta di euro 6.804.464,20. La procedura si concludeva con l’aggiudicazione. L’impresa seconda in graduatoria proponena ricorso contro l’aggiudicazione in ragione sia dell’irregolarità fiscale in cui ha ritenuto che si trovasse l’aggiudicataria al momento di partecipare alla gara, che dell’assenza dei necessari requisiti di capacità, stante l’inidoneità del ricorso all’avvalimento non essendo dimostrato che l’ausiliaria abbia svolto il tipo di servizi oggetto del presente appalto, nonché in ragione dell’omessa verifica dell’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria.
Sul piano formale, al momento di partecipare alla gara la’impresa aggiudicataria non aveva ricevuto alcun atto recante un accertamento fiscale ovvero una richiesta di pagamento, è tuttavia non meno vero come le cartelle notificatele l’una dopo circa un mese e l’altra dopo tre mesi siano state emesse all’esito di un controllo di tipo automatico o automatizzato ex art.n36 bis d.p.r. 600/1973, a fronte di un debito a suo tempo dichiarato (e quindi in teoria già esistente) dall’interessato ma poi non versato (ovvero non adempiuto) nei tempi prescritti.
Da questo secondo dato, (appena) più sostanziale il TAR, aveva tratto il convincimento che l’impresa aggiudicataria conoscesse la propria situazione fiscale già alla data di presentazione della domanda di gara, che tale situazione fosse (già) irregolare in ragione di un debito risalente ad alcuni anni prima, che di tale irregolarità la Isgrò non avesse dato notizia alla stazione appaltante, mostrandosi così reticente.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa, con la sentenza in argomento, accoglie l’appello dell’impresa originariamente aggiudicataria in quanto rileva che la disciplina nazionale in tema di esclusione dalla gare per irregolarità fiscale, anche in ragione del recepimento incompleto della direttiva (cui inizialmente il d.l. 32/2019 sembrava avere ovviato, per poi in sede di conversione il Parlamento abrogare la relativa previsione, nonostante il procedimento di infrazione avviato dalla Commissione europea sia anche proprio su questo specifico punto), sia molto garantista nei confronti del privato e non del tutto coordinata con il diritto tributario.
Rilevano infatti, in senso escludente, solamente i debiti fiscali definitivamente accertati, per tali intendendosi quelli non contestati in giudizio nei termini di legge ovvero se contestati confermati dal giudice tributario sulla base di una sentenza non più soggetta ad impugnazione.
Con la conseguenza che la proposizione di un ricorso dinanzi alla competente commissione tributaria (o di un appello o di un ricorso per cassazione), quand’anche manifestamente infondato, è comunque sufficiente a determinare (a perpetuare) la non definitività del debito e, in ultima analisi, a permettere nelle more la partecipazione alle gare, oltre tutto, a scapito degli altri concorrenti che siano invece (del tutto) in regola con il fisco (e magari, proprio per tale ragione, impossibilitati ad offrire ribassi oltre una certa misura).
Si intende, quindi, secondo la legislazione in materia di contratti pubblici, che qualunque debito, per quanto rilevante in termini economici, purché (e finché) ancora oggetto di un giudizio tributario (proponibile o) pendente, non potrà essere motivo di esclusione ai sensi dell’art. 80, co. 4, codice dei contratti del 2016.
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