Un operatore economico può iscriversi al MEPA dichiarando un requisito che non possiede, giustificandosi con l’intenzione di ricorrere all’avvalimento solo in sede di gara? Fino a che punto la stazione appaltante può selezionare gli operatori invitati a una procedura negoziata, escludendo chi non possiede la qualificazione richiesta?
Sono domande tutt’altro che astratte, che trovano risposta nella sentenza n. 19730 del 6 novembre 2025 del TAR Lazio, con la quale il giudice amministrativo ha chiarito un principio che incide sulla gestione quotidiana delle procedure di gara ed, in particolare, quelle sottosoglia gestite tramite il Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione: la trasparenza e la diligenza professionale prevalgono su ogni tentativo di “forzare” il sistema di qualificazione.
Tutto nasce da una domanda di iscrizione al Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA), presentata da un’impresa che aveva indicato – senza possederla – la certificazione SOA OG1, classifica IV. Quella dichiarazione le aveva consentito di essere sorteggiata tra le imprese invitate dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) a una procedura negoziata per lavori di manutenzione straordinaria del valore di oltre 2 milioni di euro.
Ricevuto l’invito, l’impresa aveva comunicato l’intenzione di soddisfare il requisito SOA tramite avvalimento, sostenendo che la piattaforma non consentisse di specificare tale intenzione in fase di iscrizione. L’ISS, tuttavia, ha ritenuto la dichiarazione non veritiera e ha segnalato il caso all’ANAC, che ha irrogato una sanzione da 2.000 euro per falsa dichiarazione ai sensi dell’art. 213, comma 13, del D.Lgs. 50/2016.
Da qui il ricorso al TAR, con cui l’impresa ha chiesto l’annullamento della delibera. Per comprendere il ragionamento dei giudici di primo grado, passiamo in rassegna la normativa di riferimento.
Per comprendere la portata della decisione, bisogna tornare al principio cardine della materia: la veridicità delle dichiarazioni rese dagli operatori economici. Il sistema di qualificazione, infatti, si fonda sulla fiducia reciproca tra amministrazione e impresa, una fiducia che il D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) ha voluto rafforzare introducendo il principio della fiducia (art. 2) e quello del risultato (art. 1).
Significa che ogni fase della procedura – anche quella di iscrizione al MEPA – deve svolgersi nel segno della chiarezza e della correttezza.
Sul piano sanzionatorio, l’art. 213, comma 13, del D.Lgs. 50/2016 (oggi ripreso dall’art. 222, comma 13, del nuovo Codice) stabilisce che anche una semplice colpa lieve basta a giustificare l’intervento dell’ANAC quando vengono fornite informazioni non veritiere.
La falsa dichiarazione non coincide con il reato di falso ideologico ma è sufficiente rappresentare un dato diverso dal vero per alterare la correttezza del procedimento. È un principio di responsabilità professionale più che di colpevolezza penale, coerente con l’idea che chi partecipa a gare pubbliche debba adottare una diligenza superiore alla media.
Accanto a questo si collocano altri pilastri del sistema:
Tutti elementi che il TAR Lazio ha richiamato per delineare i confini entro cui si muovono sia l’ANAC sia le stazioni appaltanti.
Il giudice amministrativo ha respinto il ricorso, confermando la legittimità della sanzione. La motivazione, seppur rigorosa, è costruita su un equilibrio chiaro tra legalità formale e ragionevolezza operativa.
Secondo il TAR, l’impresa aveva dichiarato un requisito non posseduto, introducendo un’informazione non veritiera nel sistema MEPA.
La difesa, che invocava un semplice “errore tecnico” dovuto ai limiti della piattaforma, non ha convinto. Chi partecipa a procedure pubbliche – osserva il Collegio – deve adottare “un grado di professionalità e di diligenza superiore alla media”, che non si esaurisce nell’esecuzione del contratto ma riguarda anche la fase di iscrizione e prequalifica.
L’operatore economico avrebbe dovuto segnalare tempestivamente a Consip o al gestore del sistema la difficoltà tecnica, anziché completare l’iscrizione con dati inesatti. Solo un comportamento ispirato alla massima trasparenza e collaborazione può escludere la responsabilità.
La sentenza si spinge oltre e chiarisce anche un punto spesso controverso: nessun diritto soggettivo dell’impresa a essere invitata a una procedura negoziata.
Il giudice richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 6160/2019), secondo cui la procedura negoziata, per sua natura, implica un numero limitato di invitati. L’amministrazione può dunque circoscrivere la platea agli operatori già qualificati, purché i criteri di scelta siano oggettivi e non discriminatori.
Non è quindi ammissibile che un’impresa dichiari un requisito inesistente solo per non “restare fuori” dalle procedure, confidando nell’avvalimento futuro.
In sostanza, non basta la buona fede soggettiva, ciò che conta è ciò che viene dichiarato. Nel nostro ordinamento, sottolinea il TAR, “non è immaginabile che a una dichiarazione debba essere attribuito un significato diverso da quello percepibile secondo il senso comune”.
E se la dichiarazione è falsa, anche per leggerezza, la responsabilità resta.
La sentenza tocca un punto sensibile del sistema MEPA: il rapporto tra semplificazione digitale e veridicità delle informazioni.
È chiaro che l’avvalimento non può essere dichiarato in modo preventivo o generico. Serve una base concreta, legata a una specifica gara. Ammettere il contrario equivarrebbe a introdurre una sorta di “avvalimento potenziale”, privo di fondamento giuridico.
Dal punto di vista delle stazioni appaltanti, il TAR ribadisce un principio spesso dimenticato: la selezione degli invitati è una prerogativa tecnica e organizzativa della P.A., non un diritto di chi aspira a partecipare.
Ciò non esclude, naturalmente, che i criteri di scelta debbano essere trasparenti e proporzionati, ma conferma che la massima partecipazione non è un valore assoluto.
Nel bilanciamento tra efficienza, rotazione e correttezza, prevale il principio del risultato.
In definitiva, il ricorso è stato respinto e la sanzione ANAC confermata. Una decisione che offre alcuni spunti pratici di grande utilità:
In sintesi, la decisione del TAR Lazio non introduce nuovi vincoli, ma riafferma con chiarezza che la semplificazione digitale non può tradursi in superficialità dichiarativa. La trasparenza, oggi più che mai, è un requisito tecnico e non solo etico. Chi lavora nel mercato pubblico deve saperla esercitare con rigore, competenza e consapevolezza.
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