Non è sufficiente aver contestato in giudizio la risoluzione contrattuale subìta per porsi completamente al riparo, per tutta la durata del processo, dal rischio di esclusioni da gare d’appalto previsto dall’art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti).Lo ha chiarito il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con la sentenza n. 252 del 30 aprile 2018 che, riprendendo un concetto affermato recentemente dal Consiglio di Stato (sentenza 2 marzo 2018,n. 1299 ) ha confermato che anche in presenza di una risoluzione per inadempimento che si trovi sub iudice, alla Stazione appaltante non è precluso applicare ugualmente la causa di esclusione, valorizzando la clausola normativa di chiusura sulla possibilità di dimostrare comunque “con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”. La Stazione Appaltante deve però essere in grado di far constare con i necessari supporti probatori, e con motivazione adeguata, la effettività, gravità e inescusabilità degli inadempimenti dell’impresa, e perciò, correlativamente, la mera pretestuosità delle contestazioni da questa sollevate in giudizio avverso la misura risolutoria, oltre che, naturalmente, la dubbia “integrità o affidabilità” del medesimo operatore.La vicenda riguarda la riforma di una sentenza di primo grado con la quale era stata confermata la revoca dell’aggiudicazione provvisoria in favore dell’attuale ricorrente nonché l’aggiudicazione della gara alla seconda classificata. In particolare, la revoca impugnata, disposta ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 50/2016, era stata motivata in ragione dell’avvenuta risoluzione per inadempimento di un contratto di due giorni prima, per il quale non era ancora stato presentato ricorso.I giudici del TAR, confermando la revoca dell’aggiudicazione, ammettevano:
Da ciò la conclusione del T.A.R. della legittimità della revoca dell’aggiudicazione provvisoria disposta dalla Stazione appaltante.Secondo i giudici del CGS, la motivazione spesa dall’Amministrazione a base della revoca di aggiudicazione da essa assunta non soddisfa neppure lontanamente gli impegnativi requisiti sostanziali. Tale motivazione fa risalire l’esclusione della ricorrente dalla nuova gara alla precedente risoluzione contrattuale a guisa di automatismo.Una motivazione siffatta, però, sarebbe potuta essere sufficiente solo se la fattispecie concreta fosse rientrata nella cerchia delle esemplificazioni costituenti il nucleo della norma, in presenza delle quali opera un meccanismo legale di tipo presuntivo. Nel caso di specie, però, non si può rientrare fra le esemplificazioni tipizzate dalla norma.L’Amministrazione avrebbe potuto, quindi, fare applicazione della norma, e della causa di esclusione da essa delineata, solo a condizione di fornire una motivazione satisfattiva dei requisiti indicati.In conclusione, a un’impresa non basta aver contestato in giudizio la risoluzione contrattuale subìta per porsi completamente al riparo, per tutta la durata del processo, dal rischio di esclusioni da gare d’appalto indotte dalla relativa vicenda risolutoria. Anche in presenza di una risoluzione per inadempimento che si trovi sub iudice, alla Stazione appaltante non è precluso applicare ugualmente la causa di esclusione, valorizzando la clausola normativa di chiusura sulla possibilità di dimostrare comunque “con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”. Di contro, la S.A. deve essere in grado di far constare con i necessari supporti probatori, e con motivazione adeguata, la effettività, gravità e inescusabilità degli inadempimenti dell’impresa, e perciò, correlativamente, la mera pretestuosità delle contestazioni da questa sollevate in giudizio avverso la misura risolutoria, oltre che, naturalmente, la dubbia “integrità o affidabilità” del medesimo operatore.
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