Per determinare la violazione del principio dell’anonimato nella presentazione dell’offerta e la conseguente esclusione, non è sufficiente una imperfezione nella confezione della documentazione di gara.Lo ha stabilito il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento con la sentenza n. 13 del 19 gennaio 2018 con la quale ha trattato il caso della violazione del principio dell’anonimato nella presentazione dell’offerta per una gara pubblica.Sull’argomento i giudici hanno richiamato il principio prevalente giurisprudenziale secondo il quale gli elementi dai quali eventualmente evincere la violazione della regola dell’anonimato consistono nell’univoca idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione nonché nell’inequivoca intenzione del concorrente di farsi riconoscere, presupposti questi congiuntamente necessari per legittimare l’esclusione del soggetto interessato.Nel caso in esame, secondo i giudici del Tribunale di Trento non è configurabile la violazione del principio dell’anonimato nel caso in cui il codice alfanumerico (richiesto al precipuo fine di garantire l’anonimato) indicato dal concorrente nella busta dei propri elaborati progettuali, e quello stampigliato sul plico e sulla busta della documentazione amministrativa contenente il progetto sia di una cifra in più, potendo tale cifra in più essere ricondotta ad un mero lapsus calami in cui è incorso il concorrente, e non ad un segno idoneo a consentirne, tanto meno intenzionalmente, l’identificazione e conseguentemente a ledere l’esigenza dell’anonimato fissata nel bando ed il corrispondente principio valevole per le pubbliche procedure selettive, tanto più alla luce della circostanza che il codice era di libera scelta del concorrente: l’alterazione del codice rappresenta quindi un mezzo del tutto ultroneo rispetto al fine dell’aggiramento dell’anonimato, essendo a ciò sufficiente la semplice comunicazione della scelta.
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