Secondo il Consiglio di Stato l’accesso a fini “difensivi” alle informazioni che costituiscono segreti tecnici o commerciali è ammesso a condizione che il richiedente sia in grado di dimostrare il “nesso di strumentalità” tra le informazioni richieste in sede di accesso e le censure formulate o che intende formulare in sede di ricorso e dunque sia in grado di dimostrare la possibilità di ottenere l’aggiudicazione dell’appalto.
Con la sentenza n.6083 del 26 ottobre 2018 la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha dunque fornito un’interpretazione particolarmente restrittiva dell’art. 53, comma 6 del Codice dei Contratti Pubblici secondo cui in termini generali l’accesso alle parti dell’offerta che contengono segreti tecnici o commerciali è consentito solo laddove sia richiesto ai fini di “difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”.
In particolare, nel caso deciso dalla sentenza la concorrente che aveva richiesto l’accesso – terza in graduatoria – non avrebbe, comunque, conseguito il primo posto in graduatoria, neanche se alla sua offerta fossero stati assegnati tutti i 15 punti previsti per gli unici due aspetti dell’offerta tecnica per i quali l’aggiudicataria aveva negato l’accesso proprio in ragione della sussistenza di segreti industriali.
E tale constatazione è, ad avviso del Consiglio di Stato, sufficiente a dimostrare l’assenza dell’interesse all’accesso.
Come si esporrà di seguito, il rigore di tale decisione potrebbe spiegarsi alla luce delle peculiarità del caso concreto, che riguardava non già un integrale diniego all’accesso dell’offerta aggiudicataria, bensì un diniego circoscritto solo a parti ben delimitate dell’offerta, e soprattutto, riguardava parti dell’offerta rispetto alle quali era addirittura possibile ricostruire ex ante il massimo punteggio astrattamente attribuibile dalla Commissione.
Si ritiene che le conclusioni potrebbero essere invece diverse, tanto più sia ampia la parte dell’offerta sottratta all’accesso o tanto più sia difficile determinare ex ante la possibile variazione dei punteggi per effetto dell’accesso alle offerte e della conoscenza degli eventuali vizi che affliggono queste ultime. In tutti questi casi, infatti, l’onere della prova dell’interesse all’accesso dovrebbe necessariamente divenire meno stringente, a meno di non voler pregiudicare l’effettività della tutela giurisdizionale.
La controversia decisa dal Consiglio di Stato prendeva le mosse dall’istanza d’accesso con cui un operatore economico, classificatosi terzo in una gara per l’aggiudicazione di un appalto di fornitura di servizi, intendeva visionare il contenuto dell’offerta tecnica dell’aggiudicatario al fine di verificare la correttezza del punteggio da essa conseguito.
Il diniego opposto dalla stazione appaltante, motivato alla luce della presenza di segreti tecnici e industriali nell’offerta dell’aggiudicatario, veniva impugnato dinanzi al TAR.
Nel corso del giudizio, l’aggiudicatario depositava una copia della propria offerta tecnica, la quale, tuttavia, non comprendeva le parti coperte da segreto commerciale.
Il TAR accoglieva il ricorso affermando che l’istanza di accesso non avrebbe dovuto essere rigettata in quanto con essa il ricorrente intendeva difendere in giudizio i propri interessi in relazione alla procedura di affidamento, come previsto dall’art. 53, comma 6, del D.Lgs. n. 50/2016.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha riformato la sentenza del TAR affermando che l’istanza d’accesso (e il relativo ricorso), non erano sorretti da un interesse diretto, concreto e attuale, in quanto – come anticipato – alle parti dell’offerta sottratte all’accesso non corrispondeva un punteggio astrattamente idoneo a ribaltare gli esiti della procedura e far ottenere l’aggiudicazione al ricorrente.
Il Consiglio di Stato ha quindi statuito che spetta al soggetto che lo richiede l’onere di provare il suo interesse all’accesso cd difensivo e che nel caso in esame tale onere non è stato adempiuto.
La sentenza ha altresì precisato che la motivazione a corredo della dichiarazione di segreti tecnici e commerciali non deve necessariamente tradursi nella indicazione di dettagliati particolari tecnici sugli aspetti da mantenere riservati, dal momento che, diversamente, si finirebbe per rilevare l’essenza stessa del segreto.
Come noto, la disciplina dell’accesso agli atti delle procedure di affidamento, attualmente prevista dall’art. 53 del D.Lgs. n. 50/2016, si basa sul (delicato) contemperamento delle esigenze, tra loro contrastanti, della riservatezza da un lato e della trasparenza dall’altro.
In particolare, se prima della conclusione della procedura sussiste un tendenziale divieto di accesso (fatte salve le informazioni di cui al comma 2, lett. b) e c)), dopo l’aggiudicazione prevale invece l’esigenza della trasparenza (Cons. Stato, sent. n. 1213/2017).
E anche se le informazioni fornite in sede di offerta costituiscono segreti tecnici o commerciali sulla base di una motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, l’accesso è consentito ai sensi del comma 6 dell’art. 53, se richiesto ai fini di “difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”, in quanto tale finalità rende l’interesse all’accesso particolarmente qualificato.
Ebbene, come detto, la sentenza in esame ha fornito un’interpretazione particolarmente restrittiva del citato art. 53, comma 6.
In particolare, ad avviso del Consiglio di Stato, tale disposizione deve essere coordinata con la previsione generale di cui all’art. 24, comma 7, della L. n. 241/1990, secondo la quale “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
La norma contempla due parametri sulla base dei quali esaminare le istanze volte alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici: da un lato, quello ordinario della “necessità” e, dall’altro lato, quello, più stringente, della “stretta indispensabilità”, ove si tratti di dati sensibili e giudiziari.
Il Consiglio di Stato riconduce i segreti tecnici o commerciali alla categoria dei dati sensibili, ritenendo dunque applicabile il criterio della stretta indispensabilità (Cons. Stato, sent. n. 1692/2017), nonostante – va rilevato – essi non siano ricompresi nell’elenco chiuso di dati sensibili di cui al combinato disposto degli artt. 22, comma 2, del D.Lgs. n. 101/2018, 4, comma 1, lett. d), del D.Lgs. n. 196/2003, 9 e 10 del Regolamento UE 2016/679.
Tale criterio, secondo la sentenza in commento, impone all’interessato di dimostrare un nesso di strumentalità tra la documentazione oggetto dell’istanza di accesso difensivo e le censure che egli andrà a formulare a pena d’inammissibilità tanto dell’istanza di accesso quanto del successivo ricorso per difetto dell’interesse ad agire, mancando la cd. prova di resistenza.
Ebbene, nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la prova di resistenza non era stata fornita, giacché il ricorrente non aveva dimostrato che, accedendo a quelle parti dell’offerta dell’aggiudicatario coperte da segreto, avrebbe astrattamente potuto formulare delle censure idonee a sovvertire gli esiti della gara.
In particolare, infatti, la concorrente che aveva richiesto l’accesso – terza in graduatoria – non avrebbe, comunque, conseguito il primo posto in graduatoria, neanche se alla sua offerta fossero stati assegnati i 15 punti previsti nel capitolato tecnico per gli unici due aspetti dell’offerta tecnica che l’aggiudicataria ha ritenuto di escludere dalla esibizione per tutelare procedure tecniche coperte da segreto industriale.
Di conseguenza, atteso che il punteggio astrattamente assegnabile agli elementi di valutazione coperti dal segreto era inferiore allo scarto registrato tra l’offerta dell’aggiudicatario e quella del terzo classificato, anche la sua eventuale rettifica avrebbe lasciato comunque invariato l’ordine della graduatoria finale.
In conclusione, secondo il Consiglio di Stato in relazione alla istanza di accesso formulata dalla terza classificata non sussiste il necessario “nesso strumentale” tra la documentazione integrale dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria e la difesa delle proprie pretese ad un miglior punteggio, visto che la eventuale assegnazione dell’ipotetico ulteriore punteggio non le consentirebbe di divenire aggiudicataria.
Come anticipato, il principio esposto dal Consiglio di Stato, espresso in un caso nel quale era possibile ricostruire ex ante il massimo punteggio astrattamente attribuibile dalla Commissione in relazione alle parti dell’offerta sottratte all’accesso, dovrà essere applicato con particolare attenzione in altre fattispecie, pena il pregiudizio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
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