La mancata indicazione nella lex specialis del contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato non è preclusiva tout court della possibilità per gli operatori di formulare un’offerta adeguata.
Lo si può facilmente ricavare da quanto disposto dall’art. 11, comma 1 del d.Lgs n. 36/2023 (Codice dei Contratti Pubblici), secondo cui “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”, e dal successivo comma 3 che, ispirato alla tutela della libertà di iniziativa economica, consente comunque agli operatori economici – anche nel caso di individuazione da parte della stazione appaltante di uno specifico CCNL – di indicare il differente contratto che essi applicano, a condizione che questo assicuri un certo standard di tutela.
Ne discende che l’eventuale omissione del CCNL non preclude la formulazione di un’offerta, demandando all’impresa partecipante la facoltà d’indicare un diverso contratto.
È questa una delle motivazioni con cui la sentenza del TAR Sicilia del 6 giugno 2024, n. 2137, ha giudicato inammissibile il ricorso presentato da un OE che aveva impugnato tutti gli atti di gara relativi a una procedura aperta per l’affidamento di un servizio di terapia domiciliare.
Secondo il ricorrente, la procedura sarebbe stata illegittima per:
Si tratta di questioni che il giudice amministrativo ha ritenuto inammissibili, dal momento che le illegittimità denunziate non presentano alcuna caratteristica che possa in qualche modo dimostrarne il carattere escludente, l’unico che, sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale consolidatasi, può assumere rilievo nella fase attuale di svolgimento della gara.
In particolare, con la decisione n. 4/2018, l’Adunanza Plenaria ha affermato che sono immediatamente impugnabili soltanto le clausole del bando preclusive della partecipazione o tali da impedire con certezza la stessa formulazione dell’offerta. Queste ultime sono le uniche eccezioni alla regola della non immediata impugnabilità del bando e, in quanto tali, sono di stretta interpretazione.
In riferimento alla clausola immediatamente escludente che si assuma consistere nella difficoltà/impossibilità di formulare un’offerta, in particolare, la casistica giurisprudenziale vi include clausole che impongono oneri o termini procedimentali o adempimenti propedeutici alla partecipazione di impossibile soddisfazione o del tutto spropositati.
La giurisprudenza ha, inoltre, precisato che per potersi definire “immediatamente escludente”, “la previsione della lex specialis deve porre con immediata e oggettiva evidenza, nei confronti di tutti indistintamente gli operatori economici, l’astratta impossibilità per un qualsiasi operatore “medio” di formulare un’offerta economicamente sostenibile (ossia astrattamente idonea a produrre – pur nella normale alea contrattuale – un utile derivante dall’esecuzione del contratto”.
Nel solco di tale orientamento, il C.G.A., ha inoltre rilevato che, più specificatamente, vanno considerate “clausole immediatamente escludenti” solo quelle che con assoluta e oggettiva certezza incidono direttamente sull’interesse delle imprese in quanto precludono, per ragioni oggettive e non di normale alea contrattuale, un’utile partecipazione alla gara a un operatore economico”; con la conseguenza che “l’operatore economico che intende far valere la valenza immediatamente escludente della clausola deve provare, in concreto, che l’impossibilità di partecipare alla gara è comune alla maggioranza delle imprese del settore di riferimento.
Non pare quindi decisiva la lamentata mancata specifica quantificazione dei costi della manodopera, che ad avviso del Collegio non preclude la possibilità di formulazione adeguata e consapevole delle offerte, dal momento che è sempre possibile accedere, a tal fine, alle tabelle ministeriali di cui all’art. 23 comma 16 del d.lgs.50/2016 (oggi art. 41 comma 13 d.lgs. 36/2023) e far ricorso ad esse per la determinazione dell’ammontare di tale voce.
In proposito è stato precisato che “mentre il rispetto delle norme a tutela dei livelli retributivi dei lavoratori costituisce per gli operatori economici un vincolo inderogabile, la determinazione tabellare del costo del lavoro costituisce per la stazione appaltante soltanto un indice valutativo del giudizio di adeguatezza economica”.
Analoga conclusione in relazione alla mancata indicazione nella lex specialis del contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato.
Che detta omissione non sia preclusiva tout court della possibilità per gli operatori di formulare un’offerta adeguata si ricava, in primo luogo, dalla previsione contenuta nel comma 1 del citato art. 11 che con formulazione chiara prevede che “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”, nonché dal successivo comma 3 che, ispirato alla tutela della libertà di iniziativa economica, consente comunque agli operatori economici – anche nel caso di individuazione da parte della stazione appaltante di uno specifico CCNL – di indicare il differente contratto che essi applicano, a condizione che questo assicuri un certo standard di tutela.
Ne discende che la contestata omissione non preclude la formulazione di un’offerta demandando all’impresa partecipante la facoltà d’indicare un diverso contratto.
In conclusione, il ricorso è stato giudicato inammissibile, data l’inesistenza in capo alla società ricorrente di un interesse giudizialmente azionabile.
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