Un operatore economico può essere escluso da una procedura di gara per non aver dichiarato la pendenza di procedimenti penali, anche quando questi non integrano di per sé un illecito professionale grave? E ancora: quale rilievo assume l’omissione dichiarativa ai sensi dell’art. 98 del Codice dei contratti pubblici?
La sentenza del Consiglio di Stato del 29 agosto 2025, n. 7143 offre chiarimenti importanti, confermando la centralità del principio di fiducia nei rapporti tra operatori e stazioni appaltanti.
La controversia riguarda l’esclusione di un RTI da una gara di appalto di lavori, disposta da una SA dopo che in sede di verifica dei requisiti era emersa la pendenza di procedimenti penali a carico dell’amministratore unico e di un socio della consorziata, per violazioni edilizie ex art. 44 d.P.R. n. 380/2001, con citazioni dirette a giudizio e persino un sequestro penale in corso al momento della presentazione dell’offerta.
Tali circostanze non erano state dichiarate, nonostante la documentazione di gara imponesse un obbligo informativo specifico. Da qui l’esclusione, impugnata senza successo dinanzi al TAR Campania e successivamente al Consiglio di Stato.
Secondo l’amministrazione, la mancata dichiarazione di tali circostanze costituiva di per sé un indice di inattendibilità, tale da legittimare l’esclusione.
La società aveva impugnato il provvedimento davanti al TAR, sostenendo che:
Il TAR aveva respinto il ricorso, ritenendo che l’omissione dichiarativa integrasse comunque un comportamento fuorviante, tale da incrinare la fiducia della stazione appaltante.
In appello, la società ha ribadito le stesse argomentazioni, chiedendo al Consiglio di Stato di riconoscere l’irrilevanza della vicenda penale ai fini della gara.
Il riferimento principale è l’art. 98 del d.lgs. n. 36/2023:
Il punto centrale è dunque il rapporto tra obbligo dichiarativo e rilevanza dei procedimenti penali pendenti.
Uno dei passaggi più significativi della sentenza è l’esplicito richiamo al principio della fiducia, che il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023), con l’art. 2 ha elevato a criterio generale di azione delle amministrazioni aggiudicatrici.
Il Consiglio di Stato sottolinea che la fiducia non è un concetto astratto, ma un presupposto sostanziale dell’intero rapporto contrattuale: la stazione appaltante deve poter contare sulla lealtà e trasparenza dell’operatore economico.
In questa prospettiva, l’omissione dichiarativa non è un mero vizio formale, ma un comportamento che incrina il legame fiduciario, disvelando un atteggiamento reticente o addirittura malizioso. Tale condotta diventa incompatibile con la prosecuzione del procedimento di gara, perché priva l’amministrazione delle informazioni necessarie per valutare l’affidabilità complessiva del concorrente.
Il principio di fiducia assume quindi una duplice funzione:
In altre parole, la fiducia si traduce in un vero e proprio criterio di selezione qualitativo, destinato a prevalere anche sugli sviluppi successivi del procedimento penale (assoluzioni, prescrizioni, ecc.), che non possono retroattivamente sanare l’omissione dichiarativa.
Sulla base di questi presupposti, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, confermando la correttezza dell’esclusione, in quanto:
Il Collegio ha sottolineato che l’obbligo di trasparenza è funzionale a consentire all’amministrazione di esercitare la propria valutazione discrezionale sull’affidabilità del concorrente. Negare tali informazioni equivale a sottrarre all’amministrazione un potere valutativo che la legge le riserva.
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