Progettista e appaltatore sono obbligati in solido nei confronti del committente. Con la sentenza 16323/2018, la Cassazione ha spiegato che la responsabilità del progettista non può essere maggiore di quella dell’impresa. Di conseguenza, al progettista si può chiedere solo un risarcimento connesso agli errori commessi nella fase di progettazione, mentre i danni relativi alla costruzione del devono essere risarciti dall’impresa.Il proprietario di un capannone aveva commissionato la costruzione di un muro di contenimento. Dopo aver riscontrato un cedimento, aveva chiesto un accertamento tecnico dal quale era emerso che il manufatto realizzato era privo delle caratteristiche tecniche di cui deve essere dotato un muro di contenimento, come opere di drenaggio e armature in ferro ed era stato dotato di fondazioni sottodimensionate.Il Ctu aveva prospettato come unica soluzione possibile la demolizione e la realizzazione di un muro dotato di differenti e idonee caratteristiche tecniche. Per essere dotato di tutte le caratteristiche tecniche necessarie, il nuovo muro avrebbe avuto un costo maggiore rispetto a quello da sostituire.Il proprietario aveva quindi chiesto il risarcimento integrale dei danni, stimati in più di 96mila euro.In un primo momento, la Corte d’Appello ha ritenuto più estesa la responsabilità del progettista per “aver assicurato che si poteva realizzare un muro, idoneo a svolgere funzione di sostegno, ad un costo contenuto secondo il progetto da lui elaborato”, mentre l’impresa si era limitata a eseguire il muro in conformità al progetto.La Corte d’Appello ha quindi condannato l’appaltatore a pagare i costi legati alla realizzazione del muro inidoneo e alla sua ricostruzione. La differenza tra l’importo del muro danneggiato e quello da realizzare a regola d’arte è stata invece posta a carico del progettista.La Cassazione ha ribaltato la situazione affermando che “l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è infatti obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle”.I giudici hanno sottolineato poi che il progettista aveva l’obbligo di progettare un’opera con determinate caratteristiche, ma ai sensi del contratto non doveva occuparsi anche della sua realizzazione. Su questa base hanno affermato che i danni per gli errori commessi durante la progettazione non possono comprendere i costi di esecuzione dell’opera.“Il progettista – si legge nella sentenza – in conseguenza della sua errata progettazione, può essere chiamato a rispondere dei costi della progettazione e della realizzazione dell’opera che ha effettivamente progettato, del risarcimento dei danni a terzi eventualmente provocati dall’opera realizzata non a regola d’arte in conformità dell’errore nella progettazione (siano essi terzi estranei o, come in questo caso, lo stesso committente che ha dovuto rimuovere il muro inidoneo alla funzione di contenimento), ma non anche dei diversi costi di esecuzione dell’opera a regola d’arte, perché ciò non costituisce oggetto della prestazione pattuita né è un danno conseguente all’illecito”.La Cassazione ha infine concluso che progettista e appaltatore sono obbligati in solido nei confronti del committente anche quando le loro azioni o omissioni “costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti”. Questo significa che il danneggiato può rivolgersi indistintamente al progettista o all’appaltatore che dovrà erogare tutto il risarcimento per poi rivalersi sull’altro soggetto responsabile.
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