Cause da esclusione dalle gare e concordato con continuità aziendale: nuovi chiarimenti dal TAR

La procedura di concordato con continuità aziendale non rientra tra le cause da esclusione dalla partecipazione ad una gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. b) del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti pubblici).Lo ha confermato la Sezione Seconda del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana con la sentenza n.491 del 3 aprile 2019 con la quale è stato rigettato il ricorso presentato per l’annullamento della delibera di aggiudicazione di un appalto in favore di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) la cui mandataria si trovava in concordato preventivo con continuità aziendale e che, secondo la ricorrente, a norma dell’art. 186-bis, comma 6 del Regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 non avrebbe potuto partecipare alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici qualora, come nel caso di specie, rivesta la qualità di mandataria di un RTI.La ricorrente contesta violazione dell’art. 186-bis, comma 6, R.d. n. 267/1942, secondo cui l’impresa ammessa al concordato in continuità aziendale, e tale è la controinteressata, può concorrere nelle procedure per l’affidamento di contratti pubblici anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese purché non rivesta, come nel caso di specie, la qualità di mandataria.Secondo la ricorrente seconda classificata alla gara, la mandataria non solo si sarebbe trovata in concordato preventivo con continuità aziendale ma sarebbe stata anche gravemente inadempiente al piano concordatario verificandosi così una causa di risoluzione del concordato. Tanto sarebbe dimostrato dall’informativa del Commissario Giudiziale al Giudice Fallimentare con cui l’organo di sorveglianza ha dovuto prendere atto che la mandataria non è stata in grado di rispettare l’obbligazione concordataria che prevedeva l’effettuazione del riparto a favore dei creditori chirografari entro una certa data.Altro motivo del ricorso sarebbe l’omessa verifica di congruità dell’offerta risultata vincitrice con un ribasso economico pari al 35,018% e superiore alla metà alla media di ribassi registrati nella gara, nonché dieci volte superiore al differenziale qualitativo delle offerte con ciò manifestando, a suo dire, un forte sospetto di anomalia.In riferimento alla questione posta dal ricorrente, i giudici del TAR hanno ammesso l’esistenza di diversi orientamenti. In particolare, l’articolo 186 bis, comma sesto del R.d. n. 267/1942, e con esso l’istituto del concordato con continuità aziendale, è stato inserito nella legge fallimentare dall’articolo 33, comma 1, lett. h) del decreto legge 23 giugno 2012, n. 83 convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134.Secondo una recente interpretazione l’omologazione del concordato chiude la procedura concordataria a norma dell’art. 181 del R.d. n. 267/1942; a seguito di tale provvedimento l’imprenditore ritorna in bonis e, pertanto, non vi è ragione di limitarne l’attività. L’art. 181 prevede genericamente che “la procedura di concordato preventivo si chiude… con l’omologazione” senza operare alcuna distinzione, pertanto, intervenuto il decreto di omologazione del Tribunale l’impresa non è più “in stato” di concordato né sarebbe più “in corso” la relativa procedura. Ne segue che non operano i divieti di legge con riferimento alla partecipazione alle pubbliche gare e neppure sussistono gli obblighi documentali che sarebbero esigibili limitatamente alle imprese che siano “in stato” o “in corso” di concordato.In senso contrario, secondo un altro orientamento è stato stabilito che la chiusura del concordato, a cui fa seguito alla definitività del decreto o della sentenza di omologazione, non comporta (salvo che alla data dell’omologazione il concordato sia stato già interamente eseguito) l’acquisizione in capo al debitore della piena disponibilità del proprio patrimonio. Questo infatti resta vincolato all’attuazione degli obblighi da lui assunti con la proposta omologata, dei quali il Commissario Giudiziale è tenuto a sorvegliare l’adempimento secondo le modalità stabilite nella sentenza (o nel decreto) di omologazione. Ne segue che la fase di esecuzione, nella quale si estrinseca l’adempimento del concordato, non può ritenersi scissa, e come a sé stante, rispetto alla fase procedimentale che l’ha preceduta e non vi sarebbe quindi ragione per non ritenere operanti anche in tale fase i divieti di legge con riferimento alla partecipazione alle pubbliche gare.I giudici di primo grado hanno rilevato che le cause da esclusione dalle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici, sotto il profilo (della mancanza) dei necessari requisiti soggettivi, sono stabilite dall’articolo 80 del Codice dei contratti pubblici. L’art. 80, comma 5, lett. b) statuisce che devono essere escluse dalla partecipazione alle gare d’appalto, tra le altre, le imprese che si trovino in stato di concordato preventivo “salvo il caso di concordato con continuità aziendale” e “fermo restando quanto previsto dall’articolo 110” del medesimo Codice. La norma quindi esclude dal proprio ambito di applicazione e, con ciò, dal novero delle circostanze espulsive la procedura di concordato con continuità aziendale.Si manifesta quindi un contrasto tra questa disposizione e quella contenuta nella legge fallimentare, secondo cui alle imprese ammesse al concordato con continuità aziendale è interdetto partecipare alle gare d’appalto quali mandatarie di un raggruppamento temporaneo di imprese. Il conflitto tra le norme può essere risolto secondo il criterio cronologico. La disposizione della legge fallimentare, come sopra citato, è venuta alla luce con il decreto legge 23 giugno 2012, n. 83 convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134. La norma di cui all’articolo 80, comma 5, lett. b) del Codice dei contratti pubblici è invece venuta alla luce con il d.lgs. n. 50/2016 e, quindi, successivamente alla prima che, in base al criterio cronologico di soluzione dei conflitti tra norme, deve ritenersi implicitamente abrogata.

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