Congruità dell’offerta, lavoro autonomo e tariffe: nuova sentenza del TAR sul costo del lavoro

Nel verifica della congruità dell’offerta, nel caso in cui occorre verificare l’eventuale anomalia del costo del lavoro, la stazione appaltante deve fare riferimento agli importi dei contratti collettivi nazionali o a strumenti di contrattazione diversi.Ma non solo. Nonostante la Legge 22 maggio 2017,n. 81 (c.d. Jobs Act) non abbia dettato disposizioni specifiche sul compenso dei lavoratori autonomi, non può essere condiviso il principio secondo cui ogni valutazione sulla congruità del costo del lavoro della prestazione offerta non può essere compiuta perché tra l’impresa e il prestatore d’opera di lavoro non dipendente esiste solo la libera contrattazione del compenso.Lo ha confermato la Sezione Prima del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con la sentenza n. 94 del 5 febbraio 2019 con la quale ha accolto il ricorso presentato per l’annullamento dell’aggiudicazione di una gara in cui, nonostante la Commissione giudicatrice avesse valutato come incongrua un’offerta presentata sotto il profilo delle manifeste incongruità caratterizzanti i costi del personale e le spese generali indicati dall’offerente, il RUP l’aveva ritenuta congrua e per tale motivo le aveva aggiudicato l’appalto.Il caso riguarda una procedura di gara in cui l’offerente a cui è stato poi aggiudicato l’appalto aveva presentato un’offerta in cui il costo del lavoro era stato calcolato sulla base dei contratti di lavoro non dipendente che lo stesso aveva stipulato con dei consulenti esterni (partite iva) e con i quali aveva contrattato il compenso. Dopo l’apertura e la valutazione dell’offerta tecnica ed economica dei partecipanti alla gara, la Commissione giudicatrice redigeva la graduatoria che vedeva collocarsi al primo posto tale partecipante.La Commissione giudicatrice riteneva opportuno chiedere chiarimenti in ordine alle voci di costo indicate dall’offerente, con particolare riguardo alle spese per il personale e alle spese generali. All’esito del sub-procedimento di verifica di anomalia dell’offerta, la Commissione valutava come incongrua l’offerta presentata da tale partecipante, sotto il profilo delle manifeste incongruità caratterizzanti i costi del personale e le spese generali indicati dall’offerente.Il RUP, però, giungeva a differente conclusione giudicando congrua l’offerta presentata e per tale motivo la Stazione appaltante provvedeva all’aggiudicazione a tale partecipante.I giudici di primo grado hanno ricordato che il D.Lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti) risente fortemente del più complesso sistema sovranazionale in cui è inserito e rappresenta uno strumento attraverso il quale è assicurata anche la protezione di interessi ulteriori rispetto al tradizionale principio di economicità dell’azione amministrativa.In quest’ottica devono essere ad esempio lette le norme volte ad assicurare il rispetto della tutela dell’ambiente, della salute, delle piccole e medie imprese, a promuovere l’innovazione, a preservare i beni artistici ed archeologici, a prevenire la corruzione e a tutelare il lavoro. In particolare, per la tutela di alcuni interessi pubblici, come quelli in materia di lavoro, sicurezza e previdenza, sono state dettate regole e indicati limiti specifici che non sono superabili, con la conseguenza che una stazione appaltante non può agire basandosi solo sulle vecchie logiche proprie della legge di contabilità generale.Ciò premesso, la stazione appaltante, pur non potendo sindacare le modalità di organizzazione interna di un operatore economico, né imporre determinati tipi contrattuali in luogo ad altri, nel giudizio di verifica della possibile anomalia di un’offerta, se occorre valutare la congruità del costo del lavoro (e quindi la congruità e serietà dell’offerta) nei casi in cui non sia possibile fare un immediato riferimento agli importi dei contratti collettivi nazionali, deve comunque valutare la corretta determinazione del costo del lavoro anche con strumenti diversi.Proprio per questo, i giudici di prime cure non hanno condiviso il principio affermato dal RUP e fatto proprio dall’Amministrazione, secondo cui ogni valutazione sulla congruità del costo del lavoro della prestazione offerta non poteva essere compiuta perché tra l’impresa e il prestatore d’opera di lavoro non dipendente esiste solo la libera contrattazione del compenso. Se si affermasse, infatti, la correttezza di tale principio, alle stazioni appaltanti sarebbe preclusa ogni forma di controllo sulla serietà e sostenibilità del costo del lavoro delle offerte presentate e della stessa serietà dell’offerta, soprattutto quando il costo del lavoro ne è, come nella fattispecie, un elemento preponderante.In definitiva, anche per l’operatore che decide (legittimamente) di organizzarsi con collaboratori che non sono lavoratori subordinati, la stazione appaltante non è esentata da qualsiasi giustificazione in ordine al costo di tali collaboratori nell’offerta che ha presentato.La decisione del TAR arriva nella consapevolezza che la Legge 22 maggio 2017,n. 81 (c.d. Jobs Act) non ha dettato disposizioni specifiche sul compenso dei lavoratori autonomi. Il principio cardine della Legge n. 81/2017 è, infatti, la libera pattuizione del compenso e solamente in assenza di un accordo o di riferimenti a usi e tariffe si ammette l’intervento sussidiario del giudice ai sensi dell’art. 2225 c.c. che stabilisce il corrispettivo in base al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo, con la correzione del criterio di adeguatezza all’importanza dell’opera e al decoro della professione ex art. 2233 c.c.Volendo concludere, pur essendo vero che la stazione appaltante non può ingerirsi nell’organizzazione dell’impresa che, nei limiti di legge, può scegliere in autonomia le modalità che ritiene migliori per lo svolgimento della sua attività e quindi anche per svolgere le attività che le sono richieste per la gara alla quale ha ritenuto di poter partecipare, ciò non esclude che la stazione appaltante deve comunque poter verificare la congruità dell’offerta.

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