Criterio del minor prezzo e discordanza nel ribasso tra valore assoluto e percentuale: cosa deve fare la Stazione Appaltante?

Come si deve comportare una Stazione Appaltante nel caso in cui un concorrente ad una gara presenti un’offerta nella quale viene indicato un prezzo complessivo diverso rispetto al ribasso in percentuale?A rispondere a questa domanda ci ha pensato il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con la sentenza n. 978/2018con la quale ha accolto il ricorso presentato per la riforma di una sentenza di primo grado da concorrente che aveva impugnato il provvedimento di aggiudicazione ad una gara, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia.In particolare, alla gara, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, l’attuale ricorrente presentava un’offerta commettendo l’errore di indicare un ribasso discordante tra valore assoluto e valore percentuale. La Commissione di gara, anziché tener conto che il prezzo più conveniente per l’Amministrazione era quello in valore assoluto, effettuava il calcolo sul ribasso in percentuale quantificando la cifra offerta con un importo maggiore e aggiudicando quindi la gara ad un altro concorrente.In primo grado il concorrente ha lamentato:

  • la non corretta valutazione del ribasso dalla stessa offerto, deducendo che la Commissione di gara avrebbe dovuto tener conto del prezzo offerto in valore assoluto, che rappresentava l’offerta più conveniente per l’Amministrazione;
  • la mancata esclusione della società poi risultata aggiudicataria, perché non si era avvalsa del DGUE, contrariamente a quanto stabilito dall’art. 85 del D.Lgs. n. 50/2016 (c.d Codice dei contratti);
  • la violazione dell’art. 5 del D.lgs. n. 50/2016 e dell’art. 6 del DPR n. 74/2013, deducendo che la controinteressata avrebbe dichiarato di voler subappaltare oltre il 30% dei servizi, nonché la figura del Terzo Responsabile, in deroga alla normativa richiamata.

In riferimento al primo punto, il giudice di primo grado ha ritenuto che le disposizioni del bando e del disciplinare di gara che stabiliscono che in caso di discordanze fra gli importi indicati deve essere ritenuta valida l’offerta più conveniente per l’Amministrazione, non sarebbero applicabili alla fattispecie dedotta in giudizio, in cui viene in rilievo una discordanza tra “ribasso offerto” (in termini percentuali) e “prezzo indicato” (in cifra assoluta).I giudici di secondo grado, ribaltando la decisione del TAR, hanno rilevato che il bando prevedeva che nel caso in cui nell’offerta si riscontri una discordanza di qualsiasi genere fra gli importi indicati, dev’essere considerata valida l’indicazione più vantaggiosa per l’Amministrazione.Il Giudice di primo grado ha ritenuto che la disposizione in esame non era applicabile alla fattispecie in quanto, a suo avviso, essa avrebbe la sola ed unica funzione di sanare il contrasto scaturente dalla eventuale discordanza fra l’indicazione dell’offerta effettuata “in cifre” (id est: in numeri arabi) e l’indicazione dell’offerta effettuata “in lettere”, mentre nel caso di specie l’unica discordanza percepibile sarebbe quella fra il prezzo (indicato in cifra assoluta) ed il ribasso (indicato in percentuale).Il ragionamento non ha, però convinto, il C.G.A. della Regione Siciliana che ha confermato come nel caso di specie ci fosse una discordanza tra importi. Nel caso in esame, riconducibile ad un caso di non coincidenza (o “discordanza”) fra la cifra offerta (importo indicato) in termini numerici assoluti e quella risultante dal calcolo percentuale del ribasso offerto, rientra perfettamente nella fattispecie descritta dalla disposizione del bando. Sicché, a fronte di una disposizione così letteralmente chiara e tassativa – espressamente volta a precludere qualsiasi indagine (in funzione scriminante) in ordine alla causa dell’errore o alla tipologia della discordanza – non v’è spazio per alcuna attività ermeneutica atta a restringerne la portata.In merito al giudizio sulla responsabilità della Stazione Appaltante, i giudici hanno concluso per una condanna di tipo “generico” al risarcimento dei danni provocati all’appellante per la mancata aggiudicazione in suo favore dell’appalto di servizi per cui è causa. Per la liquidazione del danno, si è ritenuto opportuno far ricorso al “metodo” introdotto dall’art.34 del codice del processo amministrativo, ordinando alla Stazione appaltante di formulare, entro centottanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa (o dalla notifica ad istanza di parte, se precedente) della sentenza, una offerta risarcitoria che contempli una somma da corrispondere quale ristoro per il c.d. “lucro cessante” ed una somma da corrispondere per il c.d. “danno curriculare” ogni risarcibilità per il “danno emergente” derivante dalla spese di partecipazione alla gara.

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