Interdittiva antimafia e comunicazione antimafia: le differenze

Il Tar ( Tar Toscana, Sez,II, 6 giugno 2018 n. 910)ha accertato il principio per cui il Prefetto nell’emanazione del provvedimento interdittivo, essendo quest’ultimo per sua stessa natura discrezionale, deve valutare una serie di indici fattuali che devono condurre verso una chiara situazione di infiltrazione mafiosa, secondo la logica del “più probabile che non”. Nel caso in esame, per il Tar Toscana, non basta la sola cessione del ramo d’azienda per accertare tale quadro fattuale.Con la presente sentenza, il Tar Toscana ha accolto la richiesta di annullamento dei provvedimenti emessi dalla Prefettura di Lucca, avuto riscontro quanto sostenuto dal ricorrente, il quale deduceva che il condizionamento criminale sull’impresa colpita dall’interdittiva era desunto unicamente dall’affitto dell’azienda agricola, cessione che da sola non poteva giustificare l’ordinanza prefettizia.In generale il Collegio si è soffermato sulla valenza garantistica ricoperta dai provvedimenti interdittivi, esempio classico della “forma di tutela avanzata avverso il fenomeno della penetrazione della mafia nell’economia legale” e ha ricordato, inoltre, che l’emissione di tali provvedimenti, come statuito dal Consiglio di Stato attraverso l’Adunanza Plenaria del 6 aprile 2018 n. 3, implica l’esclusione dell’imprenditore dalla titolarità di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni, comportandogli una particolare forma d’incapacità giuridica.Il Tribunale nel motivare tale accoglimento ha evidenziato la differenza versante tra la comunicazione e l’interdittiva antimafia.In particolare, la comunicazione consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 del medesimo d.lgs. n. 159/2011; l’interdittiva, ulteriormente alle circostanze appena delineate, può configurare anche la ulteriore sussistenza di tentativi d’infiltrazione mafiosa volti al controllo delle scelte e degli indirizzi di un’impresa soggetta ai controlli in materia.Al contempo il Collegio ha sostenuto che l’interdittiva antimafia, a differenza della comunicazione, si dispone tramite una ponderazione discrezionale circa la sussistenza o meno di tentativi d’infiltrazione mafiosa, i quali devono risultare evidenti da specifici elementi fattuali che devono delineare indici certi e sintomatici di connessioni o collegamenti con associazioni criminali.In tale sede, il Tar ha appurato che l’affitto del ramo di azienda, nonostante in via astratta possa essere sintomatico del pericolo di tentativo di infiltrazione mafiosa, non è stata accertato all’interno di un quadro fattuale volto a dimostrare che fosse in atto un tentativo di condizionamento nei confronti del ricorrente, risultando non decisivo ai fini di una possibile ordinanza interdittiva.Richiamando le sentenze del Consiglio di Stato (sez. III, 28 dicembre 2016 n. 5509; 29 dicembre 2016, n. 5533), e ricordando che il Prefetto nell’esercizio dei suoi poteri deve basarsi su fatti ed episodi i quali nel loro insieme configurino un quadro indiziario univoco e concordante avente valore sintomatico del pericolo di infiltrazioni mafiose nella gestione dell’impresa esaminata, il Collegio ha statuito definitivamente accogliendo il ricorso del ricorrente e provvedendo all’annullamento dei provvedimenti impugnati.

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