Interdittiva antimafia e reati risalenti nel tempo-La funzione dell’interdittiva antimafia e i canoni di valutazione della collusione dell’impresa, compresi i reati risalenti nel tempo

La Terza Sezione del Consiglio di Stato è intervenuta nuovamente in tema di interdittiva antimafia tramite la sentenza Cons. Stato.9 ottobre 2018 n.5784, in cui si sono delineate, in particolare, i presupposti applicativi e la rilevanza della fattispecie di reato, ancorché risalente nel tempo, ai fini dell’eventuale rilascio dell’informativa prefettizia.

La funzione dell’interdittiva antimafia

In fase di premessa, i giudici di Palazzo Spada, hanno specificato nuovamente le funzioni e le finalità dello strumento a disposizione del Prefetto contro le attività della c.d. criminalità organizzata.

L’interdittiva antimafia, di cui agli artt. 91 e ss., d.lgs. 6 settembre 2011, n.159, permette il prevenire rapporti contrattuali tra la pubblica amministrazione ed imprese che possono essere, direttamente o indirettamente, colluse con organizzazioni criminali a sfondo mafioso, impedendo il contatto dell’imprenditore in combutta con le organizzazioni mafiose con gli apparati pubblici.

I canoni di valutazione della collusione dell’impresa

In tal senso, la Terza Sezione ha ricordato i canoni di valutazione al fine di determinare la collusione dell’impresa, tramite la valutazione unitaria dei fatti e utilizzando la regola del “più probabile che non”, in cui l’onere probatorio deve spingersi fino a dimostrare la conformità a tali tratti caratteristici al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ai fini della sua adozione, vi è la necessità, in primis, della presenza di elementi sintomatici- presuntivi dai quali sia altamente probabile il pericolo d’infiltrazione da parte della criminalità organizzata; ed in secondo luogo, la valutazione unitaria di tutti gli elementi affinché gli stessi possano acquistare rilevanza in connessione con gli atti, come già ampiamente dedotto dalla stessa Sezione nella sentenza del 18 aprile 2018, n. 2343.

Rilevante novità ricondotta all’applicazione dell’interdittiva antimafia, è quella della rilevanza degli elementi anche in tempi non contestuali all’eventuale emissione dell’ordinanza prefettizia, bastando che dal complesso della vicenda emergano indizi tali da giustificare il giudizio di attualità e concretezza dell’infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa, previo rituale riscontro degli oneri probatori prima ricordati ( Così, C.d.S., Sez. III, 16 maggio 2017, n. 2327; C.d.S., Sez. III, 5 maggio 2016, n. 2085).

I giudici del Consiglio di Stato hanno rammentato che i tentativi di infiltrazione mafiosa possono essere desunti anche da una sentenza penale, nonostante la stessa sia antecedente rispetto all’ordinanza in esame e anche quando la stessa sentenza sia stata impugnata dal soggetto interessato. In particolare, quando tale sentenza abbia condannato l’interessato per il delitto di usura ex. art. 644 c.p., dato l’irrilevanza ai fini dell’emanazione del suddetto provvedimento della antecedenza di suddetti elementi dato che la disposizione non prevede in alcun modo ciò, disponendo che, invece, pur quando siano stati commessi determinate fattispecie di reato caratterizzanti l’eventuale collusione dell’impresa con la criminalità organizzata, il Prefetto dovrà valutare tali accadimenti in vista del rilascio dell’informativa antimafia. (Così, C.d.S., Sez. III, 24 luglio 2015.)

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