Negoziata senza previa pubblicazione del bando – Linee Guida ANAC n. 8 – Applicazione – Principio di esaurimento comunitario e di importazioni parallele

L’art. 63 del d.lgs. n. 50/2016, che disciplina l’uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, così recita: “1. Nei casi e nelle circostanze indicati nei seguenti commi, le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, dando conto con adeguata motivazione, nel primo atto della procedura, della sussistenza dei relativi presupposti.
2. Nel caso di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, la procedura negoziata senza previa pubblicazione può essere utilizzata: 
b) quando i lavori, le forniture o i servizi possono essere forniti unicamente da un determinato operatore economico per una delle seguenti ragioni:
3) la tutela di diritti esclusivi, inclusi i diritti di proprietà intellettuale.
Le eccezioni di cui ai punti 2) e 3) si applicano solo quando non esistono altri operatori economici o soluzioni alternative ragionevoli e l’assenza di concorrenza non è il risultato di una limitazione artificiale dei parametri dell’appalto;Le circostanze invocate a giustificazione del ricorso alla procedura di cui al presente articolo non devono essere in alcun caso imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici”.In relazione all’interpretazione della norma in questione e dell’art. 57 del precedente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), con particolare riferimento alla ricorrenza dei presupposti, la costante giurisprudenza amministrativa così si è espressa:“Osserva il Collegio che lo stesso art. 57 del codice vigente al momento dell’affidamento, disponeva alla lettera b) che l’affidamento diretto fosse legittimo qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto potesse essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato (norma che peraltro ha trovato la sua riproduzione anche nella vigente disciplina).Come precisato dall’ANAC, nelle Linee guida per il ricorso a procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando, nel caso di forniture e servizi ritenuti infungibili, a proposito dell’attuale art. 63, ma richiamando anche tutta la giurisprudenza formatasi in passato, per i casi in cui una fornitura e un servizio siano effettivamente infungibili, il legislatore, comunitario e nazionale, ha previsto deroghe alla regola della selezione attraverso una selezione pubblica, considerato che l’esito di un’eventuale gara risulterebbe scontato, esistendo un unico operatore economico in grado di aggiudicarsela e, conseguentemente, l’indizione di una procedura ad evidenza pubblica determinerebbe uno spreco di tempo e di risorse.Naturalmente, trattandosi di una deroga alla regola della gara pubblica, occorre che l’infungibilità sia debitamente accertata e motivata nella delibera o determina a contrarre dell’amministrazione, nel pieno rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, ovvero dei principi di concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità.Come affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea (cfr. Sentenza della C. Giust. UE 8 aprile 2008, causa C-337/05), confermata del resto dalla giurisprudenza della Sezione (sez. III, 8 gennaio 2013, n. 26) la procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara riveste carattere di eccezionalità rispetto all’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di individuare il loro contraente attraverso il confronto concorrenziale, per cui la scelta di tale modalità richiede un particolare rigore nell’individuazione dei presupposti giustificativi, da interpretarsi restrittivamente, ed è onere dell’amministrazione committente dimostrarne l’effettiva esistenza.Del resto, va anche precisato che l’esclusiva si riferisce a un prodotto o a un processo, l’esistenza di un diritto esclusivo non implica necessariamente che il bisogno del contraente non possa essere soddisfatto in modo adeguato anche ricorrendo ad altri prodotti o processi.Nei casi di infungibilità dei prodotti e dei servizi, il Codice prevede la possibilità di derogare ai principi dell’evidenza pubblica”(Cons.Stato, sez. III,18 GENNAIO 2018,n.310) cfr., sul punto, anche Cons. di Stato, sez. V, 3 febbraio 2016, n. 413; 30 aprile 2014, n. 2255; Tar Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 17 giugno 2015, n. 290; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 29 gennaio 2015, n. 393).“E’ illegittimo il bando di gara il quale finisce per prevedere una sorta di privativa in favore di un singolo operatore, in contrasto con il principio comunitario di liberalizzazione delle attività economiche. Infatti l’attribuzione di diritti esclusivi è consentita solo allorquando i medesimi scopi non siano affatto realizzabili attraverso l’azione dei mercati sia pure regolati, il che accade: o perché si tratta di promuovere finalità che non possono essere conseguite, con accettabili standard di benessere sociale, ove le decisioni allocative siano determinate dai prezzi; ovvero quando la spontaneità stessa del mercato agisca come fattore anticoncorrenziale; ovvero ancora quando l’attività non è per nulla appetibile per le imprese private. Pertanto in mancanza di giustificazioni sostanziali, la possibilità per l’amministrazione intimata di istituire un effetto di “privativa”, implicito nella volontà di sostituire un regime di concorrenza “nel” mercato con uno di concorrenza “per” il mercato, o comunque di “restrizione” all’esercizio dell’attività d’impresa per cui è causa, risulta lesivo dei principi comunitari di liberalizzazione delle attività economiche (Tar Lombardia, sez. I, 30 dicembre 2013, n. 3000).
Dopo aver descritto il panorama giurisprudenziale sui limiti di applicazione dell’art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, pare opportuno richiamare il contenuto delle Linee Guida n.8 per il ricorso a procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando nel caso di forniture e servizi ritenuti infungibili, approvate dal Consiglio dell’ANAC nell’adunanza del 13 settembre 2017 con deliberazione n. 950 e depositate presso la segreteria del Consiglio il 10 ottobre 2017.In proposito, l’ANAC ha affermato che: “Da un punto di vista giuridico ed economico, i concetti di infungibilità ed esclusività non sono sinonimi. L’esclusiva attiene all’esistenza di privative industriali, mentre un bene o servizio è infungibile se è l’unico che può garantire il soddisfacimento di un certo bisogno.L’infungibilità può essere dovuta all’esistenza di privative industriali ovvero essere la conseguenza di scelte razionali del cliente o dei comportamenti del fornitore; l’effetto finale è comunque un restringimento della concorrenza, con condizioni di acquisto meno favorevoli per l’utente.Non esiste una soluzione unica per prevenire e/o superare fenomeni di infungibilità, ma è necessario procedere caso per caso al fine di trovare soluzioni in grado di favorire la trasparenza, la non discriminazione e l’effettiva concorrenza nel mercato.… Esistono numerose situazioni che possono portare una stazione appaltante a ritenere infungibile un certo bene o servizio; in alcuni casi ciò deriva da caratteristiche intrinseche del prodotto stesso, in altri può essere dovuto a valutazioni di opportunità e convenienza nel modificare il fornitore. Nei casi di infungibilità dei prodotti e/o dei servizi richiesti il Codice prevede la possibilità di derogare alla regola dell’evidenza pubblica (art. 63), ma, in tal caso, in attuazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, occorre che il sacrificio del processo concorrenziale sia giustificato e compensato dai guadagni di efficienza o, più in generale, dai benefici che ne derivano in termini di qualità ed economicità dei servizi o dei beni fomiti. Ne consegue, allora, che ciascuna stazione appaltante accerta i presupposti per ricorrere legittimamente alla deroga in esame, valutando il caso concreto alla luce delle caratteristiche dei mercati potenzialmente interessati e delle dinamiche che li caratterizzano, e motiva sul punto nella delibera o determina a contrarre o altro atto equivalente, nel pieno rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, ovvero dei principi di concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità. Il primo passo, fondamentale, consiste nell’accertare in modo rigoroso l’infungibilità del bene. …In altri termini, la stazione appaltante non può accontentarsi al riguardo delle dichiarazioni presentate dal fornitore, ma deve verificare l’impossibilità a ricorrere a fornitori o soluzioni alternative attraverso consultazioni di mercato, rivolte anche ad analizzare i mercati comunitari e/o, se del caso, extraeuropei (Ad esempio una stazione appaltante deve valutare se ricorrono i presupposti per l’utilizzo della procedura di cui all’art. 63 d.lgs. 50/2016 nel caso in cui la stessa abbia già acquistato un’apparecchiatura – per la quale il produttore dichiara formalmente di essere l’unico ad effettuare l’assistenza tecnica – ma vi siano altri operatori economici che dimostrano di possedere i requisiti tecnici necessari per effettuare la medesima assistenza ovvero nel caso in cui possa utilizzare materiali di consumo “compatibili”, se il produttore di questi ultimi certifica che sono utilizzabili sull’apparecchiatura in questione, ma il produttore dell’apparecchiatura dichiara nel manuale d’uso che la stessa deve essere utilizzata solo con materiali “originali”. In tali ipotesi, infatti, sarebbe astrattamente possibile per l’amministrazione rivolgersi a più operatori economici, ma stante le dichiarazioni del produttore, non è detto che la stessa otterrebbe il medesimo grado di qualità delle prestazioni; tuttavia l’eventuale minor qualità potrebbe essere compensata da un costo più basso). Neppure un presunto più alto livello qualitativo del servizio ovvero la sua rispondenza a parametri di maggior efficienza può considerarsi sufficiente a giustificare l’infungibilità. Si tratta, infatti, di elementi che, da soli, non possono condurre al ricorso alla procedura negoziata senza bando precludendo, in tal modo, ad altri potenziali concorrenti di presentare offerte qualitativamente equipollenti se non superiori al presunto unico fornitore in grado di soddisfare certi standard”.Da tutto quanto sopra richiamato può, dunque, ricavarsi il principio per il quale, costituendo l’affidamento diretto una modalità di attribuzione di commesse pubbliche che deroga al principio generale della libera concorrenza, l’Amministrazione è legittimata a farne uso esclusivamente nei casi in cui sussistano specifiche ragioni che le impediscano di reperire l’opera, la fornitura o il servizio sul libero mercato, o a condizioni sproporzionate. Tali specifiche ragioni devono essere, quindi, individuate ed esplicitate nella determinazione di affidamento diretto, che dovrà essere, sul punto, idoneamente motivata, con particolare riferimento all’istruttoria e alle indagini di mercato espletate. (…)Come affermato nelle linee guida dell’ANAC esaminate in precedenza, invero: “poiché l’esclusiva si riferisce a un prodotto o a un processo, l’esistenza di un diritto esclusivo non implica che il bisogno del contraente non possa essere soddisfatto in modo adeguato anche ricorrendo ad altri prodotti o processi. Peraltro, anche in presenza di un diritto esclusivo potrebbero esistere distributori indipendenti o operatori economici che accedono al bene, che possono offrire, in concorrenza tra loro, un determinato prodotto o servizio”.Pare, in proposito, al collegio illuminante la giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di “principio dell’esaurimento comunitario” del diritto di esclusiva e di “importazioni parallele”, elaborati al fine di effettuare un corretto bilanciamento tra i diritti di esclusiva dei titolari di privative industriali e i diritti di libera circolazione delle merci e dei servizi, nonché dei consumatori ad approvvigionarsi in un mercato regolato dal principio della libera concorrenza.Più specificamente, il principio di esaurimento comunitario previsto in ambito nazionale dall’art. 5 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 e in ambito europeo dagli artt. 13 del Reg. 207/2009/CE e 21 del Reg. 6/2002/CE, rappresenta quella regola generale che vige in tema di diritti di proprietà industriale secondo cui, una volta che un bene viene messo in commercio nel territorio comunitario o nello spazio unico europeo da parte del titolare, o con il suo consenso, egli perde le relative facoltà di privativa con riferimento allo specifico bene immesso in commercio.Il principio è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea per favorire le cosiddette “importazioni parallele”, ossia le importazioni di beni all’interno di uno spazio territoriale senza o perfino contro il consenso del titolare della privativa, nel caso in cui la differenza di prezzo applicato per differenti mercati permette l’acquisto in uno spazio e la rivendita in un altro spazio con il percepimento di un margine di profitto.Anche in tema di dispositivi medici la giurisprudenza della Corte di giustizia si è espressa, più volte, positivamente con riferimento all’ammissibilità delle importazioni parallele (cfr., ad esempio, Corte di giustizia, 13 ottobre 2016, causa C-277/15; 24 novembre 2016, causa C-662/15).

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