Per la revoca dell’interdittiva antimafia servono elementi nuovi

Il Consiglio di Stato sul “venire meno delle ricrostanze rilevanti” che giustifica il ritiro o la revoca dell’informazione interdittiva antimafia.Il fatto che sia trascorso del tempo dall’adozione del provvedimento non giustifica la revoca dell’informazione interdittiva antimafia: occorrono fatti nuovi documentati.Infatti il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011 non dipende dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica, o perché rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo.

Il Consiglio di Stato, con sentenza 2324 del 2019, chiarisce quali sono i presupposti per la revoca dell’interdizione antimafia, stabilendo dei requisiti stringenti sugli elementi che devono essere posti a fondamento di tale revoca.

Il venire meno delle ricrostanze rilevanti, il decorso del tempo e gli elementi nuovi

La clausola rebus sic stantibus prevista dall’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, prevede che “l’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione“.

Tuttavia vi è l’eccezione a questa durata annuale per il caso del “venir meno delle circostanze rilevanti”.

Ai sensi dell’art. 9, comma 5 del D. Lgs 159/2011, c.d. Codice Antimafia,  “il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.

Il Consiglio di Stato, a tale proposito, si richiama alla propria giurisprudenza, che ha costantemente evidenziato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, V, n. 4602/2015; III, n. 292/2012; VI, n. 7002/2011) che, col decorso dell’anno, la misura interdittiva che rileva il pericolo di condizionamento mafioso non perde efficacia.Il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, non dipende, infatti, dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica (o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica, o perché rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo)..In caso di sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore (ad es. in relazione ai casi di modificazioni degli assetti societari e gestionali dell’impresa, in ipotesi capaci di modificare la valutazione alla base dell’informativa) spetta all’Amministrazione verificare nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.Tuttavia, sottolinea il Collegio, in caso di ripetute e strumentali reiterazioni di domande dirette ad ottenere un provvedimento di ritiro o di revoca di un’interdittiva in corso di validità, collegate alla affermata rilevanza di sopravvenienze e fatti nuovi asseriti come favorevoli al soggetto inciso, la Prefettura può limitarsi:

– a verificare se la domanda sia accompagnata da un fatto realmente nuovo, perché sopravvenuto ovvero non conosciuto, che possa essere ritenuto effettivamente incidente sulla fattispecie (es. effettiva cessione dell’impresa a soggetto del tutto estraneo al rischio di condizionamento o infiltrazione da parte della delinquenza organizzata);

– a valutare quindi se possano ritenersi venute meno quelle ragioni di sicurezza e di ordine pubblico in precedenza ritenute prevalenti sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.In caso di esito negativo di detta verifica, la Prefettura può semplicemente limitarsi a prendere atto della inesistenza di profili nuovi e, di conseguenza, adottare un atto di natura meramente confermativa.Applicando tali principi al caso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il provvedimento della Prefettura, che non ha considerato rilevante l’esclusione dalla società di un socio, che aveva a sua volta ricevuto le sue quote per cessione dall’ex socio tratto in arresto per associazione mafiosa, essendo stata la prima cessione un mero espediente per evitare l’interdittiva.

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